L’agricoltura e la pesca dovrebbero essere considerati reati ambientali e quindi forme di ecocidio? Quella di Jojo Mehta, fondatrice di Stop Ecocide Now, non è una provocazione. L’attivista, intervenuta a Davos dove è in corso la nuova edizione del World Economic Forum (Wef), è stata relatrice nella tavola rotonda intitolata “Quando la natura incontra il conflitto”. Nel corso del suo intervento ha discusso l’idea di criminalizzare gli effetti collaterali ecologici derivanti da attività come la produzione di denaro, l’agricoltura, la pesca e la produzione di energia. Inoltre, auspica l’istituzione di una nuova categoria penale internazionale di “ecocidio” per prevenire il «danno e la distruzione di massa della natura». Mentre finora sono considerate forme di ecocidio disastri come le fuoriuscite di petrolio e le fusioni nucleari, Mehta suggerisce di estendere tale reato anche alle funzioni necessarie dell’umanità, come appunto l’agricoltura, la pesca e la produzione di energia.



Molti metodi convenzionali di agricoltura e pesca per Mehta sono insostenibili e causano danni significativi agli ecosistemi. Questa posizione controversa ha suscitato un ampio dibattito sull’equilibrio tra esigenze economiche e tutela dell’ambiente. Non si tratta solo di una critica alle pratiche esistenti, ma anche di un appello all’adozione di alternative più sostenibili e rispettose dell’ambiente. La relatrice si è espresso a favore di una rivalutazione di queste pratiche, suggerendo la necessità di un cambiamento nel modo in cui gli esseri umani interagiscono con il pianeta.



“AGRICOLTURA E PESCA? MANCA CONSAPEVOLEZZA DEI DANNI ALL’AMBIENTE”

«L’ecocidio, come parola, sta diventando sempre più diffuso, sta diventando sempre più conosciuto in tutto il mondo, e il concetto è generalmente danno di massa e distruzione della natura. Ma dal punto di vista legale, ciò che la nostra organizzazione e gli altri collaboratori mirano a fare è che questo venga riconosciuto legalmente come un crimine grave», la premessa di Jojo Mehta. L’attivista climatica ritiene che «uno dei problemi che pervade tutta questa discussione è che abbiamo una sorta di abitudine culturale, molto radicata, di non prendere i danni alla natura con la stessa serietà con cui prendiamo i danni alle persone e alle cose». A tal proposito, fa un paragone: «Si sa che l’omicidio di massa, la tortura sono tutti crimini gravi, ma non c’è un equivalente a livello ambientale. A differenza di un crimine internazionale come il genocidio, che implica un intento specifico, con l’ecocidio vediamo che le persone cercano di fare affari, di coltivare, di pescare, di produrre energia, ma ciò che manca è la consapevolezza e la coscienza degli effetti collaterali, dei danni che ne derivano».



L’attivista verde ritiene che la creazione della categoria penale di ecocidio «indirizzerebbe» persone, imprese e governi in una «direzione più sana», presumibilmente per il timore di essere perseguiti dalla Corte penale internazionale e di incorrere in pene detentive potenzialmente lunghe. «Si può prevedere, ad esempio, che una volta che la legge sarà in vigore, una decisione che porta a una nuova miniera di carbone o una decisione che porta all’apertura di nuovi progetti di combustibili fossili dovrà potenzialmente essere seriamente ripensata».

ECOCIDIO CRIMINE INTERNAZIONALE?

L’anno scorso il Parlamento europeo ha votato a favore di una proposta di legge che riconosce l’ecocidio come reato, ma non è ancora stata votata come legge comunitaria. Attualmente 11 Paesi in tutto il mondo hanno codificato il concetto nei loro codici penali, tra cui Vietnam, Russia, Kirghizistan, Kazakistan, Tagikistan, Bielorussia, Georgia, Ucraina, Moldavia, Armenia e Francia. Secondo Stop Ecocide International, ci sono altre 27 nazioni, tra cui alcuni Stati membri dell’UE, che stanno valutando attivamente di seguirne l’esempio. Un caso emblematico è quello dell’Ucraina, che vuole avviare un procedimento legale contro la Russia presso la Corte penale internazionale per i danni ambientali causati dall’invasione del Paese da parte di Mosca. Gli attivisti climatici sperano che questo caso possa rafforzare le basi legali per il riconoscimento dell’ecocidio come crimine internazionale.