La tragica situazione libica, figlia dei clamorosi errori commessi da molte nazioni nel corso degli anni, continua purtroppo nella più totale confusione, ed è molto lontana dal definirsi. Il fatto comporta problematiche continue, specie con i Paesi limitrofi come l’Italia e da anni la tratta degli immigrati clandestini, che dalle coste libiche arrivano in Italia sotto la gestione di mafie locali, costituisce spesso il centro di polemiche continue sia a livello di relazioni internazionali che di diatribe politiche nostrane.
Ma è un altro problema che purtroppo non ha una chiara definizione, soprattutto per le pretese libiche (o almeno quella parte del Paese sotto il regime del Generale Haftar). Si tratta dei limiti delle acque territoriali, che spesso sono causa di conflitti come quello del 1° settembre scorso, quando un gruppo di militari ha bloccato quattro pescherecci italiani perché entrati in supposte acque libiche. Gli equipaggi di due imbarcazioni – Antartide e Medinea – insieme a due comandanti sono stati portati in Libia: un totale di 18 persone letteralmente prese in ostaggio, anche perché gli uomini di Haftar pretendono la liberazione, da parte delle autorità Italiane, di quattro scafisti (che comicamente vengono definiti dai libici come calciatori) condannati in Italia a 30 anni di carcere non solo per il traffico di esseri umani, ma soprattutto per l’omicidio di 49 migranti.
Lo scambio è stato ovviamente rifiutato perché, come spiega il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro: “Questi uomini non sono stati condannati solo perché al comando dell’imbarcazione, ma anche per l’omicidio dei 49 migranti tenuti in stiva. Lasciati morire in maniera spietata, sprangando il boccaporto per non trovarseli in coperta. Un episodio fra i più brutali mai registrati”.
Le nostre autorità si sono mosse da subito, per tentare di risolvere la problematica, ma dopo gli iniziali tentativi del nostro ministro degli Esteri Di Maio, che si è messo in contatto con i suoi pari degli Emirati e della Russia, è calato il silenzio. I parenti dei pescatori hanno quindi deciso di attuare un sit-in di protesta a Roma, proprio davanti a Montecitorio, dove da oltre un mese sono piazzati nell’indifferenza politica totale e nella sola solidarietà della gente che, passando davanti allo storico edificio, si ferma per parlare con loro e dei negozianti della zona che cercano di aiutarli. Insomma, la solidarietà popolare cerca di porre rimedio all’inazione politica, che fino a questo momento (seppur la trattativa sia delicatissima proprio per la confusione di poteri in Libia) ha contraddistinto la questione: ai parenti è stato solo detto che gli ostaggi stanno bene, ma non di più. E loro continuano nella silenziosa protesta, ignorati dai media tutti inseriti nella faccenda Covid-19 le 24 ore del giorno, spesso a fomentare inutili dibattiti che si trasformano in litigi colossali e fanno “ascolto”, ma poi coprono con un velo una questione, come quella dei pescatori prigionieri, della massima importanza.
Abbiamo incontrato i parenti nel corso del loro sit-in e intervistato uno di loro in rappresentanza di tutti, Marco Marrone, che è pure armatore di uno dei pescherecci sequestrati.
Ci può dire cosa avete ottenuto con la vostra protesta e illustrare la situazione attuale?
Da due mesi i nostri pescatori si trovano sequestrati in Libia, noi siamo qui da oltre un mese e purtroppo le notizie paiono essersi fermate al primo di settembre, il giorno del sequestro perché non abbiamo nessuna novità di come stanno e cosa fanno i nostri pescatori: dicono solo che stanno bene, trattati altrettanto bene. Sanno addirittura cosa mangiano, ma non abbiamo potuto ottenere nessuna prova effettiva di come stanno i nostri padri, mariti e figli. Il 29 settembre abbiamo avuto un incontro con il Premier Giuseppe Conte e con il Ministro Di Maio che ci hanno rassicurato sulle condizioni dei nostri parenti, informandoci che, seppur in una trattativa delicatissima dal punto di vista diplomatico, sarebbero stati liberati con i loro mezzi e avrebbero fatto ritorno in Italia. Noi abbiamo deciso di continuare il nostro presidio, ma da quella data non abbiamo avuto più nessuna informazione.
Nessun altro incontro quindi…
La cosa veramente spiacevole è che da qui non sia mai sceso nessuno nemmeno per darci la classica pacca sulle spalle per chiederci: “Che fate qui al freddo? Tornate a casa…vi daremo un contatto diretto con noi per informarvi sui vostri cari”. Siamo all’oscuro di tutto da due mesi e quindi vi chiederei di mettervi nei nostri panni, quelli di una moglie, di una madre, di un figlio, per esempio, che ha il papà là. Sappiamo che sono in carcere in Libia, ma nessuno, da parte del Governo, ci ha fornito prove effettive delle loro condizioni. Per noi potrebbe essere successo di tutto, anche di negativo, perché non abbiamo uno straccio di prova… una foto, una telefonata… e quindi il pensiero macina qualsiasi ipotesi e ciò porta a una sofferenza indicibile.
Anche perché sono prigionieri di un Paese in cui, dalla scomparsa di Gheddafi, regna il caos più assoluto.
Soprattutto in quella parte della Cirenaica dove effettivamente versa nelle condizioni più difficili. Siamo diventati completamente invisibili per il nostro Governo che ha sempre affermato di lottare per il popolo, è nato dalla strada come lo siamo noi in questo momento ed è questa la cosa che più la cosa ci dispiace, soprattutto da parte del Ministro Di Maio. Che ci dicano anche che la situazione è difficile, che i nostri rientreranno tra sei mesi perché le cose si sono complicate: ma che per favore ci dicano qualcosa. Noi siamo qui e non ce ne andremo fino a quando la questione non sarà risolta. Io so soltanto che le nostre barche lavoravano in acque internazionali e sono stati sequestrati, due pescherecci abbandonati al punto che le società che le gestivano sono in fallimento… e 18 uomini in galera. Dateci anche notizie negative, ma datecele, ce lo meritiamo ed è un nostro diritto.
Voi pensate che l’ingresso della Turchia, che è subentrata nella questione, stia rendendo più difficili la trattative?
Non lo credo, però non sono tanto esperto di geopolitica: so che nella trattativa si sono immessi gli Emirati Arabi e è stato chiesto un aiuto anche alla Francia (almeno così ci disse Di Maio nell’unico incontro), alla Russia e agli Usa. Insomma, c’è mezzo mondo che si occupa di questa questione, ma ogni giorno che passa per noi è come un secolo, per i marittimi giù in Libia è un’eternità, rinchiusi in celle fortunatamente lontane da quelle della delinquenza comune, senza possibilità di parlarsi e di avere comunicazioni. Vorrei vedere se nei nostri panni si trovasse qualche personaggio vicino a loro… sono 18 pescatori italiani e lo Stato italiano deve intervenire il più presto possibile.
Che appoggio avete ricevuto dalla Regione Siciliana, di cui vedo una bandiera esposta?
Abbiamo avuto l’appoggio dal Presidente della Regione Musumeci che si è anche adoperato per organizzarci incontri con il Governo, e sono stati dati anche degli aiuti economici alle famiglie ai quali hanno provveduto anche il sindaco di Mazara del Vallo e i sindacati colleghi della pesca. Quindi stanno dando la priorità a queste persone che però hanno il bisogno di poter riabbracciare al più presto i propri cari.