La pesta suina africana ha sfondato la barriera della filiera dell’allevamento suino, entrando all’interno del settore dell’alimentazione. Il virus, come sottolinea Ilaria Capua sulle pagine del Corriere della Sera, infetta solamente suini, cinghiali e facoceri e fino a questo momenti non ha mai attaccato alcun mammifero oltre questi. Nonostante ciò, le conseguenze sono ingenti e dannose anche per l’uomo perché il virus, una volta che attacca gli animali, è letale: inevitabilmente, dopo tante sofferenze, gli animali muoiono. Come spiega la scienziata, “dopo decenni di ricerca nei centri di virologia più avanzati del mondo non si è riusciti a produrre un vaccino che abbia le caratteristiche di efficacia ed innocuità previste dalle autorità competenti”.



L’unica cosa possibile, dunque, è controllare la malattia con misure di bio-sicurezza, cioè applicare dei lockdown agli allevamenti suini, “bloccando le movimentazioni di animali all’interno delle zone «rosse» e non permettere l’uscita né di suini né di altro materiale infetto dalle zone sottoposte a chiusura”, spiega Capua. Bisogna fare attenzione poi anche alle cascasse, ai prodotti che si ottengono dal suino, alle scarpe e agli abiti degli operatori così come agli attrezzi e ai mezzi usati: dunque, tutto potrebbe contenere il virus letale.



Peste suina, le raccomandazioni della Commissione UE

La Commissione Europea qualche mese fa ha rimproverato l’Italia per la gestione della peste suina sul territorio della nostra penisola: il ministero della salute ha così rivisto le proprie norme di controllo che sono state rese più stringenti, in modo da fermare la malattia ma soprattutto tutelare il settore agroalimentare italiano. “La peste suina africana è una malattia talmente pericolosa per la suinicoltura che nessun Paese è disposto a rischiare di introdurla nei propri confini” spiega Ilaria Capua. Per questo i Paesi che attualmente acquistano i nostri prodotti, non lo farebbero più, poiché considerati a rischio per l’introduzione.



Questo farebbe calare nettamente il valore dell’export del comparto. Sulle pagine del Corriere della Sera, Ilaria Capua spiega ancora: “Il settore, in totale, ha un valore economico pari a 20 miliardi di euro (di questi 2,1 miliardi sono legati all’export) ed occupa 100.000 persone in tutti i segmenti della filiera. Nonostante le restrizioni imposte negli ultimi anni, in cui la malattia è stata segnalata prevalentemente nei cinghiali, l’export verso Canada ed Usa segna un più 30% nei primi 4 mesi del 2024 e le vendite all’estero sono l’unico ambito possibile di crescita economica di cui tanto abbiamo bisogno”. Per questo è importante seguire le indicazioni della Commissione Europea e bloccare la patologia quanto prima, per evitare di perdere 100.000 posti di lavoro.