“Si è avverato ciò che non avremmo mai voluto: la peste dei cinghiali è arrivata all’interno di un allevamento”, tuona il Presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, nel commentare il rilevamento della malattia all’interno di una stalla del Lazio. “È un disastro annunciato”, rincara Luigi Scordamaglia, Presidente di Assocarni, “un fatto gravissimo, perché certifica agli occhi del mondo un contenimento inadeguato della malattia. Un vero scandalo: da gennaio scorso, da quando è stata rinvenuta la peste in Piemonte e Liguria, nel nostro Paese nulla di concreto è stato fatto. A causa dell’immobilismo delle istituzioni ancora si discute se procedere con gli abbattimenti dei cinghiali che continuano a scorrazzare liberamente nella Capitale sommersa dai rifiuti. È imperativo rendere più snelle le procedure di abbattimento modificando l’art. 19 della legge 157/1992 e abbandonare fantasiosi vagheggiamenti e interventi ‘contraccettivi sui cinghiali'”. 



Occorre insomma fare presto, come conferma anche il Presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini: “Si sta perdendo tempo prezioso, i piani di abbattimento della fauna selvatica vanno a rilento nel Nord Ovest – solo 2mila ungulati sui 50mila stimati – e a Roma non sono neppure cominciati”. 

Ma l’emergenza sanitaria non è l’unico versante su cui agire. A farsi sentire, infatti, c’è anche quella economica, che vede le associazioni di categoria levare, concordi, una richiesta di aiuto. Scordamaglia chiede al Governo immediate misure di sostegno a favore delle aziende incolpevoli. Prandini reclama risarcimenti rapidi per le imprese costrette ad abbattere i loro animali. Il presidente di Cia non ritiene sufficienti i 25 milioni di euro stanziati dal Decreto governativo per supportare gli allevatori. E invoca 50 milioni di indennizzi garantiti e immediati per sostenere le aziende colpite e il settore suinicolo nazionale, oltre a quelli già stanziati dal Governo, ma ancora non liquidati. 



“Gli allevatori di suini interessati dalla malattia dovranno bloccare la loro attività per almeno sei mesi, con la macellazione cautelativa e il divieto di ripopolamento delle stalle. E al danno per la zootecnia si aggiunge lo stop alla commercializzazione dei foraggi per gli agricoltori in tutte queste zone rosse. Il che significa almeno 10 milioni di mancato reddito”. Ma non è tutto. “Anche le altre risorse stanziate dal Governo per le misure di biosicurezza negli allevamenti sono da implementare con urgenza – dichiara Fini -. Senza considerare il rischio che il ritrovamento dei suini infetti possa indurre Bruxelles a chiedere all’Italia un severo incremento di tali misure. Un provvedimento che potrebbe riguardare tutti i 132mila allevamenti suinicoli sul territorio italiano, con un danno incalcolabile per il settore”.



La posta in gioco è insomma molto alta. Dal comparto suinicolo nazionale dipendono del resto 11 miliardi di fatturato e 70mila addetti nella filiera delle carni suine, punta di diamante del Made in Italy. E al settore fanno capo 21 Dop e 12 Igp, per un valore annuo complessivo di 1,6 miliardi di export. Senza contare che i consumi di carne suina rappresentano circa l’8% degli acquisti nel carrello della spesa degli italiani.

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