Il 22 giugno 2022 la Commissione europa ha proposto il Regolamento per il Ripristino della Natura in Europa, un Regolamento che sostituisce la Direttiva sull’utilizzo sostenibile dei pesticidi, per ridurne del 50% entro il 2030 l’uso e il rischio. Timmermans, il Vicepresidente della Commissione, ha affermato che “entro il 2030, metà dei prodotti fitosanitari dovrebbe essere sostituita con alternative, con pratiche come la rotazione delle colture e con tecnologie come l’agricoltura di precisione”.
Prima considerazione, facendo riferimento solo all’Italia, la monosuccessione non si pratica più da anni. Il riso, classica coltura in monosuccessione, si coltivava per 20 anni nelle stesse risaie, adesso è inserita in rotazione dopo 4-5 anni, a causa di un’erba infestante, il riso crodo, che si può controllare e contenere solo in altre colture.
Seconda considerazione, l’Agricoltura di Precisione, l’accezione corretta del termine intende la pratica di applicare gli input produttivi (concimazione, trattamenti fitosanitari, profondità della lavorazione, semina, irrigazione, ecc.) in dose variabile in funzione della variabilità spaziale negli appezzamenti, richiede grandi investimenti per essere praticata. La realtà in Italia è che questa tecnologia viene applicata solo sull’1% della superficie agricola utilizzata (SAU). Questo perché la superficie media delle aziende agricole è di soli 11 ettari: piccole aziende, quindi, che difficilmente possono avere la disponibilità economica per simili investimenti.
Si parla molto di innovazione tecnologica in agricoltura e di agricoltura 4.0, ma di cosa parliamo? In Italia abbiamo 1.133.000 proprietari di aziende agricole e il livello di preparazione tecnica è molto variabile. Se da una parte vi sono i molti volenterosi “autodidatti”, dall’altra parte sono pochi quelli ad aver seguito un percorso formalizzato (solo il 4,9% ha una laurea o un diploma in ambito agrario). Per favorire la diffusione dell’agricoltura di precisione sarebbe necessario elevare il livello medio delle competenze degli agricoltori, anche ricorrendo a un supporto pubblico, visto che non tutte le aziende sono in grado di investire in formazione.
In realtà, la proposta prevede che per non penalizzare Paesi virtuosi come l’Italia, che nel triennio 2015-2017 hanno evidenziato un’intensità di utilizzo dei prodotti fitosanitari inferiore al 70% della media Ue, potranno ridurre i loro consumi del 35% e non del 50%. Infatti, l’Italia applica ampiamente l’agricoltura integrata, l’agricoltura biologica (17% della SAU) e la riduzione dei dosaggi da decenni, per cui rientra nei Paesi virtuosi.
Quindi, andrà a finire come la direttiva dell’Ue del 2020 che stabiliva di tagliare del 30% entro il 2030 le emissioni di metano. Si sa già che non sarà realizzabile l’impegno se non saranno compiuti sforzi per ridurre il numero dei capi di bestiame e ridurre di almeno il 10% il consumo di carne e latticini. Ricordiamoci che il 71% della produzione agricola in Europa è destinata all’alimentazione animale. Oppure pensiamo alla stessa decisione dell’Ue che stabiliva di abolire l’uso del rame dal 2012 come prodotto per la difesa dei patogeni fungini, eppure il rame è ancora usato: senza il suo uso nessuno farebbe agricoltura biologica e per ora non ci sono alternative al suo impiego.
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