La crisi del petrolio che ha colpito l’Europa, ed in parte anche la Russia, dallo scoppio della guerra in Ucraina, ha prevedibilmente creato, inizialmente, un “vuoto” nelle forniture. Ne è scaturita, piuttosto rapidamente, una vera e propria corsa agli approvvigionamenti da parte della maggior parte delle realtà europee ed occidentali, che si sono trovati di fatti a dover cercare un nuovo partner commerciale per le forniture dell’oro nero.
Contestualmente, grazie proprio alla guerra e alla corsa al petrolio degli attori occidentali, il costo del greggio è stato sostenuto e ha continuato ad attraversare repentini aumenti e cali del prezzo. Quei soldi, che non finiscono più nelle casse di Mosca, sono ora destinati principalmente ai paesi del Golfo Persico, soprattutto Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita. Complessivamente, stima l’Economist, dalle sole vendite di petrolio quei quattro paesi hanno guadagnato, nel 2022, un surplus di 350 miliardi di dollari. Non solo, stimano anche che nel 2023 quel surplus dovrebbe attestarsi a circa 300 miliardi di dollari (supponendo un prezzo al barile di 100 dollari), portando il totale in due anni ad oltre 650 miliardi.
Dove finiscono i petroldollari del Golfo Persico
Rimane, però, da sciogliere un nodo fondamentale, che riguarda la destinazione dei quei surplus record dalla vendita del petrolio. Come rileva l’Economist, prassi comune dei paesi della GCC (sigla che indica il consiglio di cooperazione del Golfo) che ancorano la loro valuta al dollaro, è quella di investire in valute forti durante i boom economici, destinando i fondi alla banca centrale. Eppure, le casse della banca sembrano piuttosto vuote.
Da una profonda analisi dei flussi economici dei paesi del Golfo, l’Economista ha scoperto che i proventi del petrolio attualmente finiscono soprattutto nelle casse dei governi e dei fondi sovrani, mentre la banca centrale perde terreno. In prima istanza, il surplus è stato impiegato soprattutto per coprire i debiti pubblici (con un’immissione, per esempio, pari al 7% dei soldi circolanti negli Emirati Arabi, o del 4% in Qatar). In secondo luogo, gli stati del Golfo hanno utilizzato i proventi del petrolio per aiutare alcuni partner commerciali internazionali (come la banca d’Egitto, sostenuta con depositi da 13 miliardi di dollari per sostenere l’aumento del prezzo del grano).
Così il Golfo sposta la liquidità del petrolio in Medio Oriente
Singolare, invece, controllando i movimenti dei surplus, è la posizione di sempre maggiore interesse per i paesi del Golfo per gli attori del Medio Oriente. Per esempio, la Turchia, che non ha mai avuto relazioni con il Golfo, hanno ricevuto fondi per oltre 24 miliardi di dollari. E si arriva, così, al terzo punto principale degli investimenti del surplus del petrolio, ovvero gli investimenti esteri. Inizialmente si puntò sull’Europa, per poi volgere lo sguardo verso l’America ed, infine, in Oriente e in Medio Oriente. La scelta è chiara, la maggior parte del petrolio finisce proprio nei paesi dell’Est, ed è volontà diretta dei paesi del Golfo investire dove i loro fondi finiscono in un circolo economico. Oltre a questo, investendo prima degli europei e degli occidentali, i paesi del Golfo si garantiscono un ruolo centrale nell’economia orientale del futuro.