Dall’estate il prezzo del petrolio segue un trend rialzista che lo sta lentamente portando alle soglie dei 100 dollari al barile, con conseguenze che si riflettono anche sul costo alla pompa di benzina e gasolio. Come ci spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, “l’andamento del mercato del greggio rispecchia le decisioni di Arabia Saudita e Russia riguardo l’estensione del taglio della produzione, annunciato a giugno, fino alla fine dell’anno. Complessivamente si tratta di 1,3 milioni di barili in meno al giorno. Questo in un contesto in cui l’Opec + aveva già varato un taglio della produzione anche per il 2024. In tutto si arriva a una riduzione di circa tre milioni di barili al giorno. Questo è sufficiente per dare un’impronta rialzista al prezzo del petrolio”.



Nonostante le previsioni di un rallentamento dell’economia globale…

Sì, la domanda globale di petrolio sta rallentando, ma a fine anno raggiungerà comunque un nuovo record, pari a circa 102 milioni di barili al giorno, due in più rispetto al 2022.

La conseguenza diretta del rialzo del petrolio di cui si parla in questi giorni è relativa al prezzo dei carburanti. È l’unica?



È la principale, perché il petrolio è la materia prima essenziale per la produzione dei carburanti, sul cui prezzo pesa peraltro, in particolare in Occidente, la scarsa capacità di raffinazione. Indirettamente, tuttavia, ciò incide anche sull’inflazione, contribuendo a renderne più lenta la discesa.

Il Governo sembra intenzionato a varare un bonus benzina da 80 euro al mese per i possessori della card alimentare, con un Isee quindi inferiore ai 15.000 euro. Cosa ne pensa?

È una soluzione positiva per le fasce di reddito più basse, che già godono del bonus sociale per le bollette di luce e gas. Non si tratta, però, di una soluzione strutturale: la domanda globale di prodotti petroliferi, come detto, cresce rispetto all’anno scorso, ma non c’è sufficiente offerta per soddisfarla e questo fa sì che il prezzo dei carburanti salga. Bisognerebbe convincere i Paesi produttori a colmare questo gap, ma vedo che negli incontri istituzionali tra Europa e Medio Oriente si preferisce parlare di idrogeno verde, rinnovabili o nucleare. Questo non giova ai 35 milioni di automobilisti italiani che devono periodicamente fare il pieno.



Più che chiedere ai Paesi produttori di aumentare l’offerta, l’Europa sembra aver scelto la strada che porta ad affrancarsi dagli idrocarburi.

L’affrancamento dal greggio è un tema sul tavolo da 50 anni ormai, ma dalla crisi degli anni 70 a oggi non è cambiato molto: il petrolio resta predominante nei trasporti. In Italia si era puntato parecchio sul metano, ma dopo quello che è avvenuto l’anno scorso si è abbandonata questa strada. Ora ci sono le auto elettriche, che però costano troppo. Credo si dovrebbe prendere atto di un problema europeo: a parole vogliamo la rivoluzione green, ma non ce la facciamo a realizzarla, nonostante la crescita delle rinnovabili. A questo punto la democrazia, che è la cosa più preziosa che abbiamo in Europa, deve dibattere di questo e deve far emergere la verità.

Sarebbe a dire?

Le regole imposte alla finanza europea, che incidono poi su quella internazionale, vietano gli investimenti in fonti fossili, nella speranza di spianare la strada alle rinnovabili. Ma si tratta di un errore. È chiaro, infatti, che a livello di confronto di costi le rinnovabili sono più convenienti, il problema è che producono energia elettrica, talvolta in maniera intermettente e poco prevedibile, come nel caso dell’eolico, e che non è utilizzabile per i trasporti. E le batterie delle auto elettriche non possono accumulare l’enorme quantità di energia che invece si ritrova nel gasolio o nella benzina. Occorre, quindi, lasciare che si possano fare investimenti nelle rinnovabili, nella cattura della CO2, ma non vietare quelli in fossili.

Il premier inglese Sunak ha deciso di rivedere la strategia che porterà alle emissioni zero nel 2050, arrivando anche a ritardare la messa al bando di motori endotermici e caldaie a gas. Cosa ne pensa?

Il Regno Unito ha sposato in maniera entusiastica la lotta ai cambiamenti climatici e adesso i nodi vengono al pettine. Oltremanica si stanno anche rendendo conto che non possono dall’eolico offshore ricavare la stessa energia che arriva dal fossile. L’Ue forse ci arriverà dopo le elezioni dell’anno prossimo oppure a seguito di un’altra crisi energetica. Nel frattempo sta pagando molto cara l’energia, sta perdendo di competitività, si sta deindustrializzando per raggiungere al suo interno un obiettivo importante sul piano ambientale, ma che a livello globale non conta nulla o quasi.

Manca poco all’inizio del nuovo anno termico. Come vede la situazione sul fronte del gas?

È migliore rispetto a un anno fa, le scorte sono piene, ma bisogna arrivare alla primavera e, per quanto improbabile, se l’inverno fosse rigido potrebbero esserci dei problemi. In questo senso le quotazioni del TTF di Amsterdam, ora inferiori ai 40 euro MW/h, ma che per l’inverno puntano verso i 50, riflettono qualche timore e sono indicative di problemi strutturali che, come ci siamo detti in altre occasioni, non sono stati risolti. Pertanto l’anno termico inizia con una relativa tranquillità, ma sarà bene tenere d’occhio i segnali che arrivano dalle quotazioni.

(Lorenzo Torrisi)

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