KHAMENEI RICONOSCE FORMALMENTE MASSOUD PEZESHKIAN COME NUOVO PRESIDENTE DELL’IRAN: SUCCEDE A RAISI DOPO LA MORTE IN ELICOTTERO
Dopo i risultati a sorpresa delle Elezioni Presidenziali 2024 in Iran, da questa mattina Massoud Pezeshkian è formalmente il nuovo Presidente a Teheran: durante la cerimonia con tutti i vertici politici, militari e religiosi, la “guida suprema” Ayatollah Ali Khamenei ha nominato ufficialmente il successore dell’ex Presidente Raisi, morto in un incidente (misterioso) in elicottero il 19 maggio 2024. Il “dottore”, l’unico esponente idealmente “riformista” del novero di candidati in corsa per le ultime Elezioni anticipate, Pezeshkian è riuscito a sconfiggere il leader conservatore Saeed Jalili con oltre 3 milioni di voti al ballottaggio del 5 luglio.
Con la cerimonia di investitura si chiude la crisi di governo del regime iraniano, impegnato da mesi ormai ad una dura opposizione militare e diplomatica contro l’odiato nemico Israele (sostenendo i movimenti di Hamas, Houthi ed Hezbollah), rimanendo nella lista di principali nemici degli Stati Uniti d’America nel difficile quadro del Medio Oriente: in attesa del giuramento che avrà luogo il 30 luglio prossimo, il nuovo Presiente Pezeshkian ha voluto ribadire i primi obiettivi già esposti dopo la vittoria alle urne per il ballottaggio iraniano. «Il ritorno della dignità del Paese è possibile solo attraverso l’unità e il rispetto della legge», ha detto il neo presidente dopo che l’Ayatollah ha sancito la sua approvazione formale al politico ed ex chirurgo riformista.
COSA HA DETTO IL NUOVO PRESIDENTE PEZESHKIAN NEI PRIMI DISCORSI IN IRAN: LE POSIZIONI SU ALLEANZE, NUCLEARE E GUERRA IN MEDIO ORIENTE
Nel discorso alla cerimonia dove è stato più volte citato l’esempio dell’ex Presidente scomparso Raisi e del compianto Ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian. (Anche lui morto in circostanze misteriose a bordo del medesimo elicottero dell’aviazione iraniana), il neo-Presidente Pezeshkian ha promesso una svolta economica importante dopo la crisi degli scorsi mesi, oltre che maggiori garanzie su «giustizia e libertà per i nostri cittadini», in un Paese dove la libertà e i diritti sono tutt’altro che capisaldi centrale del regime. «Prometto davanti al leader della rivoluzione che non seguiremo un percorso diverso da quello della giustizia sociale e dell’equità e che continueremo il cammino dei martiri che hanno servito questo popolo», ha spiegato ancora il leader “riformista” davanti all’Ayatollah, il vero potere decisionale del regime islamico persiano.
Serve un Iran dalle forti capacità di deterrenza e di difesa, ha ribadito Pezeshkian lanciando un messaggio netto di sfida agli Stati Uniti: «La dottrina di difesa dell’Iran non include armi nucleari e gli Usa dovrebbero imparare dagli errori di calcolo passati e adattare la propria politica di conseguenza». Pezeshkian ha poi nominato come suo vicepresidente il veterano Mohammad Reza Aref, prendendo il posto dell’ex n.2 dietro Raisi, ovvero Mohammad Mokhber (presidente ad interim dopo la morte del leader iraniano). Ribaditi poi nel discorso dopo l’investitura quanto già detto al “Teheran Times” dopo la nomina a Presidente dell’Iran in merito agli scenari e alle alleanze internazionali del Paese degli ayatollah: «Non vediamo l’ora di collaborare con Turchia, Arabia Saudita, Oman, Iraq, Bahrein, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e organizzazioni regionali per approfondire i nostri legami con il mondo arabo». Da aggiungere al novero di alleati strategici restano gli inossidabili Russia e Cina: secondo Pezeshkian Mosca e Pechino hanno sempre sostenuto l’Iran in tutti questi anni e perciò, rileva il Presidente, occorre coltivare e dare pieno valore a questa salda alleanza. Come prima misura nell’ambito del delicato quadro in Medio Oriente l’Iran chiederà a tutti i Paesi arabi di collaborare a livello diplomatico per raggiungere il cessate il fuoco permanente a Gaza: sulla guerra con Israele infatti la posizione di Pezeshkian non è affatto “distensiva”, anzi ritiene che si debba fermare l’occupazione israeliana che ha «devastato le vite di quattro generazioni di palestinesi. In questo contesto, voglio sottolineare che tutti gli Stati hanno un dovere vincolante ai sensi della Convenzione sul genocidio del 1948 di adottare misure per prevenire il genocidio; non di premiarlo attraverso la normalizzazione delle relazioni con i perpetratori».