Nell’annunciare i risultati della seconda fase di sperimentazioni sulla pillola anti-Covfid “Paxlovid”, Pfizer ha reso noto anche un elemento curioso notato in Italia solo da Franco Bechis su “Il Tempo”: sono stati infatti coinvolti come volontari ben 2.246 non vaccinati per capire come funziona la pillola testata dalla big Pharma Usa contro il Sars-CoV-2.
«Era necessario fossero no vax, che non avessero ricevuto fin qui né la prima né la seconda e figuriamoci poi la terza dose di vaccino. Ma non bastava, visto il tipo di sperimentazione: oltre ad essere no vax, era necessario pure che avessero avuto da poco una esposizione al virus perché restati a contatto stretto con qualche positivo, o essere loro stessi con sintomi della malattia da non più di cinque giorni», spiega il direttore del “Tempo” elencando i dettagli della sperimentazione Pfizer sulla pillola in attesa di via libera dalla Fda americana. Dei 2.246 “no vax” adulti pescati per la sperimentazione in fase due del suo candidato antivirale orale, il 41% è stato trovato negli Stati Uniti, il restante 59% in Europa, Sudafrica e Asia.
LA ‘MOSSA’ DI PFIZER PER CONVINCERE 2.246 NO VAX
«Pfizer ha convertito (pagandoli) 2.246 no vax», è il titolo ad effetto tutt’altro che falso avanzato da “Il Tempo”: non sono stati resi noti gli emolumenti e i rimborsi disposti da Pfizer, ma è facile immaginare che il compenso per essere esposti a rischi tali non sia certo bassissimo. E il risultato è stato davvero clamoroso, ben più convincente della pillola Merck: la fase 2 (su 3) del Paxlovid ha ridotto dell’89% il rischio di ospedalizzazione o morte per qualsiasi causa rispetto al placebo fornito in contemporanea. Nel novero di spiegazioni e dettagli forniti dalla stessa Pfizer, è ancora Bechis a cogliere un secondo aspetto altrettanto positivo dell’intera sperimentazione sulla pillola anti-Covid: «i tecnici Pfizer hanno prelevato il sangue di contagiati da Omicron e di contagiati dalla versione primitiva del virus facendo esami di laboratorio in vitro più che confortanti. Il sangue dei vaccinati con tre dosi ha prodotto di fronte a Omicron lo stesso numero di anticorpi che una doppia dose di vaccino produceva contro la versione base del virus, e quasi il triplo degli anticorpi di fronte alla variante Delta». Il che, tradotto, significa che la variante scoperta dal Sud Africa non buca affatto l’attuale vaccino anti-Covid, ma è più efficace laddove la protezione sia svolta su tre dosi piuttosto che sulle sole due.