E’ morto, in galera, come un criminale qualunque. No, peggio. Perché tanti “criminali” giungono a quel passo, all’omicidio, per le più svariate circostanze: una infanzia disastrata, la povertà, la rabbia, una vendetta, una vita malavitosa. Phil Spector, morto a 81 anni causa Covid, che stava scontando una condanna da un minimo di 19 anni all’ergastolo per l’omicidio di una giovane donna, apparentemente aveva tutto. Miliardi di dollari, il successo professionale, l’adorazione di fan e colleghi. Ma come in un patto diabolico, lo stesso successo che ne aveva fatto il più importante produttore di dischi pop a soli 21 anni, gli aveva portato via tutto. Passato il suo periodo di successo, viveva rinchiuso nel suo paradiso dorato, una villa hollywoodiana, non uscendone mai. Solo a notte fonda, quando si faceva portare di nascosto in qualche club, agganciava una ragazza, se la portava a casa con la promessa di farne una star. L’ultima volta però gli era andata male. A lui piacevano i giochetti pericolosi e dopo averle infilato la canna di una pistola in bocca era partito un colpo. Le aveva mandato in briciole la testa.
Phil Spector con quel gesto di follia ha dimostrato quella che è la grande, e per molti versi terribile, saga del rock’n’roll. Nessun altro ne ha colto il potenziale e i limiti come aveva fatto lui. Lui ha fatto grande il rock, con gli stessi strumenti che il rock ha usato per farsi grande: velocità, divertimento, stravaganza, grande classe e folli imprese, epicità. Ma ha anche dimostrato come nel mondo dello spettacolo si finisca presto, come lo showbiz sia fatto di sfolgoranti vampate di luce e di altrettanto rapide autocombustioni. Bisogna entrarci con entrambe le mani avanti, correrci dentro con tutte le forze e poi lasciarlo senza guardarsi indietro.
Il primo successo di Phil Spector si intitolava To know him is to love him, l’epitaffio sulla tomba del padre, morto quando lui aveva 9 anni. Se Phil Spector alla fine è stato un criminale, un assassino, un sessista, un violento, è anche stato senza alcun dubbio il più grande genio del pop e del rock del Novecento. Con buona pace di McCartney e di Lennon, che da lui erano corsi quando erano in difficoltà, aveva messo insieme ragazzi bianchi e di colore prima di tutti, ne celebrò lo spirito della gioventù, la ribellione e il romanticismo, inventò un suono unico che per grandezza si può paragonare solo ai grandi del passato, i Mozart, i Beethoven, i Wagner. Il wall of sound, il suo suono, era una orchestrazione poderosa che lasciava senza fiato: mezza dozzina di batterie, due bassi, decine di chitarre, sezioni fati, archi tutto suonato e registrato contemporaneamente (rigorosamente in mono; non avrebbe mai accettato la stereofonia), come appunto un muro di suono invalicabile. Un’apocalisse rock che lanciò ai vertici delle classifiche dozzine di gruppi da lui messi insieme e per cui scrisse i brani più belli: Ronettes, Righteous Brothers, Ike and Tina Turner, cantanti come Darlene Love e Ronnie Spector. E poi ancora: Imagine di John Lennon e My sweet Lord di George Harrison. Ma uno a uno tutti lo abbandonarono. Quando registrò con Leonard Cohen Death of a ladies’ man, il cantautore, insoddisfatto della sua produzione, gli chiese indietro i nastri: lui rispose appoggiando una pistola sul mixer. Stessa cosa con i Ramones ai quali puntò la pistola quando gli chiesero di cambiare alcune cose. La moglie Ronnie Spector, come mi raccontò lei in una intervista, scappò di casa di notte scalza e in vestaglia per sfuggire alla reclusione in cui lui l’aveva ingabbiata. Nelle scene iniziali del film Easy Rider i due protagonisti, Peter Fonda e Dennis Hopper si recano da uno spacciatore in limousine a fare il pieno di cocaina: è Phil Spector, ma non stava recitando. Lui era il pusher dell’omonima canzone.
Criminale, sì certamente. Ma anche per lui c’era un passato oscuro sepolto che uscì fuori a chiedere il prezzo del successo: orfano di padre, era cresciuto nel Bronx, con una madre violenta e soffocante. Nanerottolo lo chiamavano gli altri ragazzi, belli e abbronzati mentre lui era piccolo, timido e brutto. Avrebbe avuto la sua rivincita con il rock’n’roll, ma avrebbe pagato il prezzo del patto diabolico. To know him is to love him, conoscerlo è amarlo, potrà essere anche il suo epitaffio?