Ieri il Presidente americano Biden ha tolto il velo su un piano economico da seimila miliardi di dollari. La giornata scelta per l’annuncio, notavano in mattinata gli analisti di Goldman, è inusuale e sembra scelta per togliere enfasi mediatica all’annuncio perché oggi si apre un weekend lungo (lunedì è il “Memorial day”) che non aiuta a “fare pubblicità” e infatti annunci di questo tipo si fanno normalmente a inizio settimana per dare modo ai “media” di parlarne per più giorni. Il piano Biden riflette una visione in cui il ruolo del Governo in economia si espande, con un incremento della spesa pubblica in molti ambiti, finanziato sia da un aumento delle tasse alle imprese che alle famiglie seppur concentrato nella fascia di reddito più alta.



La maggior parte delle voci di spesa erano già note e fanno parte di programmi già annunciati; in questo senso la novità di ieri è l’incremento delle aliquote fiscali e soprattutto le stime al 2031 che evidenziano un’espansione del deficit, che non scende mai sotto il 4%, e del debito pubblico che cresce costantemente fino ad arrivare al 117% del Pil al 2031. Le stime contengono altre due assunzioni: una crescita media che al netto dell’inflazione rimane prossima al 2% e un’inflazione mai superiore al 2,3%.



Il cambiamento di modello rispetto all’amministrazione Trump è evidente. L’amministrazione passata si era caratterizzata per un approccio basato sul taglio delle tasse e una guerra commerciale; il tasso di disoccupazione, anche tra le fasce di popolazione storicamente più emarginate, era sceso ai minimi di sempre. L’accusa era stata una certa irresponsabilità fiscale e una Federal Reserve accomodante; due condizioni che si manterranno anche nell'”era Biden”. 

Il cambiamento di modello, soprattutto con l’espansione del ruolo pubblico, si dovrà misurare sia sulla capacità di generare una crescita che coinvolga la popolazione in generale, sia sul contenimento dell’inflazione. Non può non venire in mente la delusione della risposta economica alla crisi Lehman in cui l’esuberanza dei mercati ha lasciato ai margini ampi strati della popolazione mentre l’incremento del costo della vita, affitti e prezzi della case ma non solo, penalizzava proprio le fasce più deboli. Il risultato politico è stata la sconfitta di Hillary Clinton e la vittoria di Trump il cui slogan “Make America great again” faceva leva sui delusi promettendo il ritorno del sogno americano che evidentemente il post Lehman aveva compromesso.



È emblematico che l’annuncio del piano Biden avvenga nello stesso giorno in cui il dato sull’andamento dei prezzi più scrutinato dalla Fed faccia segnare l’incremento più alto dal maggio del 1992 mentre l’incremento dei prezzi delle case sfiora il 20% rispetto a un anno fa. I sussidi e i piani di spesa pubblica già in queste settimane stanno dando benzina all’inflazione mentre i benefici della crescita dipendono dal successo del nuovo approccio di Biden. Fallire sulla crescita mentre i prezzi salgono e le tasse alle imprese anche, lascerebbe molti scontenti che si troverebbero più poveri, o per le tasse o per l’inflazione, senza maggiori redditi. Difficilmente la protesta potrà essere incanalata politicamente, come nel 2016, con l’emergere di un outsider che comunque gioca all’interno del sistema e delle sue regole. Questo è un bene, in un certo senso, o un male, in un altro, perché la protesta difficilmente si può comprimere all’infinito senza qualche tipo di rottura. 

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