L’Amministrazione Biden ha approvato un pacchetto da 369 miliardi di dollari da dedicare a programmi per il clima e l’energia. Il pacchetto è contenuto nel più ampio “decreto per la riduzione dell’inflazione”. L’incremento dei prezzi è la principale preoccupazione delle famiglie americane, alle prese con rincari record per gli alimentari, e anche della politica a tre mesi dalle elezioni di mid-term; i sondaggi danno in grande rimonta il partito repubblicano che in questo momento raccoglie anche lo scontento per l’inflazione, la sicurezza e probabilmente anche la politica estera dell’attuale Amministrazione. Nelle ultime settimane diversi produttori di petrolio e gas americani hanno riportato i risultati, pubblicato presentazioni e annunciato piani industriali.



Il minimo comune denominatore è l’assenza di piani di incremento degli investimenti e della produzione nonostante gli appelli del presidente Biden; questo avviene nonostante i profitti record dato il livello raggiunto dai prezzi del petrolio e del gas. Alle obiezioni o alle proteste politiche è servita su un piatto d’argento la scusa perfetta: perché dovremmo investire in piani di lungo termine se il nostro Governo incentiva qualsiasi fonte energetica tranne gli idrocarburi? Se siamo in un’attività da dinosauri non conviene a noi, ai nostri azionisti e ai nostri dipendenti incassare i profitti di oggi, pagare gli stipendi più alti possibili in attesa dell’inevitabile fine? 



L’Amministrazione Biden incentiva l’acquisto di auto elettriche che non possono essere un sostituto di quelle tradizionali né nel presente, né nel futuro. Nel presente per le limitazioni alla distanza che nei fatti le rendono convenienti o come seconda macchina, e quindi per i più ricchi, o per chi vive in contesti urbani o quasi urbani. Né per il futuro vista la componentistica necessaria alle batterie. L’idrogeno, un altro dei settori beneficiati da Biden, è più promettente dell’elettrico puro, ma prima che possa diventare di uso comune mancano almeno dieci anni o, più probabilmente, 15/20. L’eolico, un terzo beneficiario del pacchetto Biden, ha l’enorme difetto di non essere programmabile. Questo implica costi addizionali sulla rete e sul sistema che deve manutenere tutte le centrali di “backup”. 



Gli incentivi verdi presentati in questo modo, come aiuto all’inflazione, sono profondamente fuorvianti. Anche ammesso che servano all’ambiente peggiorano l’inflazione su livelli molteplici: espandono il deficit, con cui si pagano gli incentivi, producono disincentivi allo sviluppo delle risorse tradizionali e infine spostano il sistema su fonti energetiche e mezzi di trasporto che sono strutturalmente più costosi di quelli tradizionali. 

La transizione energetica produce inflazione, impedisce la ricostituzione di capacità produttiva in Occidente la cui premessa è proprio la disponibilità di energia economica e abbondante. Gli effetti di questa politica sono estremamente pervasivi: tutta la nostra civiltà industriale e l’agricoltura è basata sugli idrocarburi. Pensiamo, per esempio, ai recenti limiti introdotti dal Canada e dall’Olanda all’utilizzo di fertilizzanti prodotti con il gas e che hanno l’inevitabile conseguenza di ridurre la resa delle colture e quindi l’aumento dei prezzi. 

Presentare gli incentivi alla transizione energetica come uno dei pilastri di un pacchetto per la “riduzione dell’inflazione” è emblematico del cortocircuito in atto. Gli elettori vogliono quello che viene presentato come “più verde” e “salutare” e poi votano contro gli incrementi dei prezzi che devastano il loro potere d’acquisto e li costringono a scelte che sarebbero state ritenute impensabili: abbassare la temperatura d’inverno, limitare gli spostamenti, rinunciare all’aria condizionata, accettare pasti più poveri e in minore quantità. 

L’incomprensione delle dinamiche in atto, anche e soprattutto tra gli elettori, crea un enorme equivoco e un vuoto politico che non viene colmato da nessuno e che alla lunga genera una volatilità ingestibile. 

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