Il Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psb), pronto per essere discusso dal Parlamento, è un documento importante previsto dalle riformate regole del Patto di stabilità e crescita. Prima di commentarlo, Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, ritiene importante «ricordare il contesto in cui questo documento arriva, a partire dalla revisione del Pil operata dall’Istat che mostra come una politica fiscale espansiva, seppur attuata in una modalità non ottimale come nel caso del Superbonus, abbia effetti positivi non solo sull’economia, ma anche sulla stabilità dei conti del Paese. Non a caso viene previsto un rapporto debito/Pil per quest’anno pari al 135,8% e non al 137,8% come indicato nel Def dello scorso aprile. E non a caso, viste le politiche fiscali restrittive che l’Italia si impegna a implementare nei prossimi anni, questo rapporto nel 2027 salirà al 137,5%. Inoltre, non si può trascurare il fatto che poche settimane fa è stato presentato il Rapporto Draghi, in cui si auspica una politica fiscale espansiva in Europa, e che anche in Austria c’è appena stata una svolta a destra, favorita certamente, come accaduto in altri Paesi Ue, dall’austerità».



Cosa ci dice invece rispetto al contenuto del Psb?

Credo sia importante parlare anche della sua forma, perché ci sono in tal senso due “novità” negative. La prima è la totale incomprensibilità di questo documento per i cittadini comuni. C’è un livello di tecnicismo e astrusità che non si vede in altri Paesi occidentali nel presentare la propria politica fiscale a cittadini e imprese, e questo lo considero un vulnus per la democrazia. L’altro elemento negativo è dato da una politica fiscale formalmente più rigida. I tassi di crescita della spesa primaria netta (il nuovo parametro di riferimento per l’Ue), infatti, non potranno essere modificati nei prossimi cinque anni, se non a causa di un cambio di Governo. Dunque, nel Psb c’è più rigidità e meno trasparenza rispetto al passato. Per quanto riguarda il contenuto, non c’è molto di nuovo.



Ci spieghi meglio.

In pochi mesi gli obiettivi non sono mutati, dato che il deficit/Pil viene previsto al 2,8% nel 2026, sotto il 3% come ipotizzato nel Def. Quello che cambia è il punto di partenza: un disavanzo al 3,8% del Pil quest’anno invece che al 4,3% stimato ad aprile. Quindi, la stretta da fare sarà lievemente inferiore al previsto.

Il Psb è frutto di un negoziato con la Commissione europea. Cos’è riuscito a ottenere il Governo italiano?

Nel Piano stesso viene spiegato che c’è stato un lungo dialogo tecnico con la Commissione e alla fine il Governo italiano è riuscito a ottenere una riduzione dell’impatto negativo delle manovre restrittive rispetto alle previsioni di Bruxelles. Attraverso i moltiplicatori in suo possesso, infatti, palazzo Berlaymont stimava effetti recessivi più alti che, conseguentemente, nella logica austera della Commissione, richiedevano una stretta fiscale maggiore. Il nostro Esecutivo è riuscito a convincere la sua controparte a utilizzare moltiplicatori diversi che portavano a effetti recessivi minori. È quasi paradossale, ma il confronto è stato su quanto recessiva sarebbe stata la manovra restrittiva. E temo che purtroppo sia più corretta la stima di Bruxelles.



Perché?

Perché così come sono stati sottostimati in Italia gli effetti positivi di una politica fiscale espansiva, pur con i suoi limiti, come quella del Superbonus, così si stanno sottostimando gli effetti negativi di una politica restrittiva come quella che ci sta impegnando ad attuare. Il che porterà a dover applicare ancora più austerità in futuro. Non so se ce ne si sia resi conto, ma nel Psb la crescita del Pil diminuisce con il passare degli anni: dall’1% del 2024 allo 0,6% del 2029, con un passaggio sotto l’1% dopo il 2026, quando non ci saranno più gli investimenti, pur minimi visto che non si riescono a spendere le risorse, del Pnrr. Questo è il programma per una morte piatta della nostra economia, favorita dal fatto che il tasso di crescita della spesa primaria netta resterà verosimilmente inferiore al tasso di inflazione. Il che vuol dire che la spesa in termini reali continuerà a scendere.

Anche quella in sanità, per la quale il Governo si impegna, come ha scritto il ministro dell’Economia Giorgetti nella premessa del Psb, a una crescita superiore a quella dell’aggregato di spesa netta?

Quel che il ministro ha scritto è che il tasso di crescita della spesa sanitaria sarà superiore a quello della spesa primaria netta complessiva, ma non sappiamo se sarà abbastanza per stare sopra il livello dell’inflazione e quindi garantire un aumento della spesa sanitaria in termini reali, cosa fondamentale per offrire servizi in più e non in meno ai cittadini.

Da parte del Governo c’è anche l’impegno a rendere strutturali il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento delle aliquote Irpef su tre scaglioni.
Dato il livello di spesa netta primaria indicato, questi interventi possono essere finanziati o tramite l’aumento di altre imposte, cosa che penso difficilmente questo Governo farà, oppure riducendo altre spese e scommetto che verranno tagliate quelle in conto capitale, tra cui gli investimenti, vista l’incapacità cronica di attuare una spending review seria per spendere meglio. Mi lasci aggiungere una cosa a proposito della premessa del Psb.

Prego.

C’è questa frase impressionante: “Data l’esigenza per gli Stati membri con elevato debito pubblico di seguire politiche di riduzione dei rispettivi deficit, la stance della politica di bilancio dell’insieme dei Paesi europei potrebbe risultare restrittiva a fronte di sfide tecnologiche e ambientali a cui le altre potenze economiche continuano a rispondere con un ampio utilizzo di risorse pubbliche”.

Cosa la colpisce di queste parole?

Non solo ricordano quelle del Rapporto Draghi, laddove l’ex Presidente della Bce spiega che le fondamenta della costruzione europea stanno vacillando e la sfida per metterle in sicurezza è esistenziale, ma dicono che il Governo è consapevole del fatto che si sta impegnando in qualcosa di profondamente sbagliato, che deriva dalle nuove regole del Patto di stabilità e crescita che pure ha approvato senza aver il coraggio di porre il veto e fermare una manovra suicida. Se l’Italia si fosse opposta, oggi non saremmo in questa situazione nella quale i populismi, come mostra il caso austriaco, continuano a crescere e l’Europa perderà non soltanto competitività, ma anche la sicurezza strategica e politica. Una sicurezza messa a rischio dai burocrati di Bruxelles, cui l’Italia, non si sa perché, ritiene di dover ubbidire.

Le parole di Giorgetti ricordano che anche altri Paesi europei dovranno attuare politiche restrittive. Sicuramente la Francia che è sotto procedura d’infrazione come l’Italia…

Sarà interessante vedere che Piano strutturale di bilancio di medio termine metterà a punto Parigi. Va comunque ricordato, come detto poc’anzi, che in caso di cambio di Governo è possibile rivedere i tassi di crescita della spesa primaria netta. Ed è verosimile pensare che in Francia nel 2027 ci sarà un nuovo Esecutivo e credo che con tutta probabilità a guidarlo ci sarà la destra che potrebbe far saltare il banco con una politica sovranista.

Nel frattempo il declino dell’economia europea, nonostante si sia da poco votato per il Parlamento Ue, continuerà, come se fossimo su un piano inclinato?

Ormai è certificato da tutti che senza il settore pubblico e gli investimenti non si acquisisce recupero di produttività e competitività. Questo declino lo fermeranno soltanto i sovranisti, mettendo a repentaglio la costruzione europea. Se ne parlerà nel 2027, quando si voterà in Francia.

Prima ancora, nel 2025, si voterà in Germania dove i partiti al Governo stanno perdendo consensi.

Fdp perde consensi, ma questo non basterà a eliminare l’ossessione di Berlino per il pareggio di bilancio: al massimo riuscirà ad attuare politiche fiscali meno restrittive e questo favorirà la crescita di AfD. È la politica fiscale a portare a queste conseguenze politiche non desiderabili, perché i cittadini più deboli, che hanno più bisogno, si sentono sempre meno rappresentati dai partiti tradizionali.

(Lorenzo Torrisi)

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