Con le audizioni alle commissioni Bilancio, da oggi entra nel vivo il dibattito parlamentare sul Piano strutturale di bilancio di medio termine approvato dal Governo alla fine della scorsa settimana. Come evidenzia l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili «il Psb è un documento importante soprattutto perché costringe tutti a confrontarsi su un’ottica non più annuale o al massimo triennale, come negli anni precedenti, ma addirittura quinquennale, con un percorso di aggiustamento del debito pubblico che arriva a sette anni: un orizzonte che travalica la fine della legislatura con il quale si chiedono impegni, anche dal punto di vista politico, importanti. Questa è senz’altro una novità su cui sarà interessante vedere come evolverà il confronto parlamentare. Detto questo, mi sembra comunque che appaia in maniera evidente un aspetto critico nel Piano».
Quale?
Si prevede un aumento del Pil che dall’1% di quest’anno dopo il 2026 scenderà progressivamente arrivando al +0,6% nel 2029. Verrebbe da chiedersi come sia possibile che una volta terminato l’orizzonte del Pnrr, con tutte le risorse in esso previsti, l’Italia torni a incrementi annuali del Pil allo zero virgola. C’è, quindi, un percorso di crescita tutt’altro che ambizioso.
Quanto tutto ciò dipende dalla volontà di riportare velocemente i conti in ordine, con il deficit/Pil sotto il 3% già nel 2026?
Si tratta di una stretta evidente verso un risultato non semplice da raggiungere. D’altra parte è un percorso necessario vista la situazione del nostro debito pubblico e quelle che sono le nuove regole del Patto di stabilità e crescita. Se vogliamo uscire dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo e far scendere il debito occorre stringere la cinghia e questo ha naturalmente contraccolpi sulla crescita, a maggior ragione se consideriamo le difficoltà che si stanno proponendo già da alcuni mesi per l’industria italiana, particolarmente accentuata in alcuni settori come l’automotive, che andrebbe invece sostenuta.
Volendo avere i conti in ordine rischiamo di avere una situazione economica con più criticità rispetto a quelle attuali?
Sì, oltretutto la crisi della Germania, visti anche i legami commerciali esistenti con il nostro Paese, non aiuta. E poi il contesto internazionale, con continui venti di guerra, rende non banale raggiungere i livelli di crescita previsti nel Psb che l’Ufficio parlamentare di bilancio ritiene si collochino sull’estremo superiore delle proprie stime.
Quanto possono aver pesato nella scelta di dare priorità ai conti pubblici il fatto che dall’anno prossimo mancherà il supporto degli acquisti di titoli di stato da parte della Bce e l’appuntamento imminente, a partire dal 18 ottobre, con le valutazioni delle agenzie di rating sul nostro debito sovrano?
Moltissimo, perché i programmi di acquisto di titoli di stato della Bce in passato sono stati importanti per l’Italia e oggi non sembrano esserci le condizioni per un loro ripristino. Come non si vedono quelle per arrivare al debito comune europeo auspicato da Draghi. Il Governo cerca, quindi, di tenere l’asticella della prudenza ai massimi livelli, forse anche a costo di sacrificare la crescita, perché sui mercati potrebbero ripetersi situazioni difficili. Non perché l’Italia possa finire nel mirino della speculazione, ma perché, come si è visto nei mesi scorsi, può finirci la Francia, con ricadute negative anche per il nostro spread.
Francia che, come ha spiegato il Premier Barnier, sposterà al 2029 la discesa del deficit/Pil al 3%.
Parigi ha scelto un percorso meno in salita di quello italiano e questo potrebbe anche premiare i nostri sforzi in sede europea. La strategia francese è probabilmente anche dettata da una stabilità politica molto più a rischio della nostra.
Il Psb è frutto comunque di un confronto tra il Governo e la Commissione europea. E Bruxelles non sembra aver suggerito a Roma di non mettere a rischio la crescita dell’economia per avere i conti in regola…
La Commissione europea è sempre stata il cane da guardia delle regole fiscali, non c’era quindi da aspettarsi un consiglio di questo tipo da parte di Bruxelles, visto anche il livello del nostro debito pubblico.
Ora gli occhi sono puntati sulla Legge di bilancio, che forse sarà “meno peggio” di quanto si pensasse prima dell’estate: vengono confermati il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento delle aliquote Irpef, non si intende far ricorso al blocco parziale delle indicizzazioni delle pensioni all’inflazione…
Vista la necessità di far scendere il deficit/Pil, per la Legge di bilancio ci si affida anche alla speranza che ci siano entrate importanti dal concordato preventivo biennale. Va comunque messa in conto la prospettiva che i sacrifici futuri saranno più pesanti di quelli previsti per il 2025. Certamente poteva andare peggio, ma poteva andare anche un po’ meglio, perché probabilmente ci sarà meno spazio per una riduzione delle tasse rivolta al ceto medio e sta emergendo anche l’ipotesi di innalzare le accise sul diesel allo stesso livello di quelle previste per la benzina, con conseguenze non certo positive per alcune famiglie e imprese. Se non sarà una manovra restrittiva cercherà comunque di tenere serrati i cordoni della borsa.
(Lorenzo Torrisi)
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