Ieri Corriere e Repubblica hanno rivelato che dal 20 gennaio il ministero della Salute aveva pronto un “piano nazionale di emergenza” per far fronte al coronavirus. Non sarebbe stato divulgato perché lo scenario previsto era altamente drammatico. Nell’ipotesi peggiore – scrive Repubblica – si prevedeva il picco dopo un anno dal primo caso (quello ufficiale si sarebbe verificato a Codogno il 21 febbraio), con mille pazienti ricoverati dopo 5 mesi e il 75% delle terapie intensive occupate dopo 243 giorni. In due anni – così il piano – si sarebbe arrivati a 646mila contagi, dei quali 133mila avrebbero richiesto il ricovero in terapia intensiva. Previsioni, quelle relative ai contagi, ampiamente surclassate dalla realtà. “Con il senno di poi – ha dichiarato al Corriere Andrea Urbani, direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute – sarebbe stato meglio un lockdown immediato”. Venne ordinato dal governo solo il 9 marzo, dopo avere chiuso la Lombardia il giorno prima.
“È molto strano” dice Carlo Jean, esperto di strategia, docente e opinionista. Jean è stato consigliere militare del presidente della Repubblica Francesco Cossiga e presidente della Sogin.
Che cosa è strano, generale?
Se avevano un piano che contemplava potenzialmente 100mila morti, la prima cosa da fare era comprare mascherine, tamponi, preparare il sistema sanitario fin da gennaio.
Non è stato fatto. Chi ha sottovalutato l’emergenza?
Molto probabilmente quel piano non è stato letto dai decisori politici, altrimenti non si spiega l’inerzia che è seguita.
“Già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano e quel piano abbiamo seguito” ha detto Urbani al Corriere.
Resta il fatto che l’emergenza è stata fronteggiata con due mesi di ritardo. Il piano è di gennaio. Roberto Burioni per esempio, che molto probabilmente era a conoscenza o aveva sentito qualcosa del piano, l’8 gennaio lanciò l’allarme sui casi sospetti di polmonite in Cina. Le sue previsioni si sono avverate.
Il presidente del Consiglio ha firmato la dichiarazione dello stato di emergenza il 31 gennaio. Lo si è saputo solo un mese e mezzo dopo. Perché alla proclamazione dello stato di emergenza non sono seguite vere misure di emergenza?
La responsabilità è delle massime cariche di governo. E poi di chi si è messo a giocare con aperitivi, ristoranti cinesi, magliette.
Come può un simile piano di emergenza venire ignorato così?
Dev’essersi trattato del lavoro fatto da qualche esperto che qualcuno ha sfogliato, ma che essendo così pauroso, ha ritenuto fosse una balla e che il suo posto fosse nel cassetto o nel cestino. Forse non è neppure arrivato in mano al ministro della Salute.
Dal Corriere sappiamo che lo scenario contenuto nel piano ha indotto Speranza a secretarlo e a mettere in campo una task force.
È difficile gestire i guai quando si hanno come consulenti persone che twittano video con pupazzi di Trump presi a calci. Mi pare strano che una persona tutto sommato con i piedi per terra come il ministro Speranza possa avere sottovalutato un documento come quello. Quindi a mio avviso non lo ha visto per niente.
Può il governo dire di non avere divulgato il piano ma di avere agito ugualmente?
Ma agito come? Facendo un comitato, invece di fornire dispositivi di sicurezza e ventilatori? È fuori da ogni credibilità.
In questa vicenda dell’epidemia intravede altre smagliature nell’apparato del governo e dello Stato?
Le smagliature sono dovute al fatto che esistono delle responsabilità concorrenti tra Stato e Regioni. Il governo, coerentemente con lo stato di emergenza, doveva assumere tutti i poteri, da esercitare consultando i presidenti delle Regioni e collaborando con esse.
Invece?
Invece il presidente del Consiglio non ha fatto altro che lo scaricabarile.
Il governo coltiva buoni rapporti con la Cina.
Non credo che sia per i buoni rapporti con la Cina che uno sottovaluta una cosa del genere. Può farlo Di Maio, ma Conte no.
Conosceremo mai la storia vera del coronavirus?
Ne dubito. C’è solo una possibilità: che gli Stati Uniti abbiano in mano la testimonianza di qualcuno che lavorava nel Wuhan Institute of Virology e che possa dire quello che è successo. Il resto è guerra di informazione.
(Federico Ferraù)