La diffusione del Rapporto Onu sul clima che ha analizzato una grande quantità di studi e di dati, ha riacceso il dibattito sulle questioni ambientali, i cambiamenti climatici e la transizione ecologica, ma la sua influenza sulle scelte globali non sembra confrontabile con il Rapporto Brundtland del 1987 che ha definito il concetto di sviluppo sostenibile.



Nei decenni successivi, l’innalzamento del livello del mare, i fenomeni atmosferici estremi, precipitazioni, alluvioni, uragani e siccità in territori che non ne avevano sofferto sono diventanti oggetto frequente delle cronache. Pertanto questi problemi dovrebbero diventare prioritari nell’agenda pubblica, ma il trattamento di questi temi e problemi pubblici (che interessano tutti i cittadini) non è facile. Non basta fare un ministero o aggiungere i termini, green, blu, ecc. a documenti e dichiarazioni. Le conoscenze scientifiche, l’innovazione e gli investimenti in tecnologie innovative e soluzioni intelligenti (comprensive dei costi) dovrebbero prevalere sugli slogan, sulle isterie e sui fanatismi. Non guasterebbe una maggiore fiducia nelle capacità umane senza visioni univocamente catastrofiste assunte in modo dogmatico.



La principale critica che si può avanzare alle scelte in materia di transizione ecologica e alle politiche per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici a livello comunitario, (l’obiettivo delle emissioni zero) è che non tengono conto dei comportamenti opportunistici dei grandi Stati asiatici emergenti, a partire da Cina e India. Entrambi, oltre all’incidenza sul totale della popolazione mondiale, presentano processi recenti di industrializzazione che alimentano la quota principale dei consumi energetici (soddisfatti principalmente con il carbone, la fonte più inquinante) e delle emissioni a livello globale (che non seguono i confini statali e istituzionali). Sembra difficile aspettarci un cambiamento di rotta nella direzione green di questi Paesi nel breve periodo considerate le economie in crescita e i consumi in aumento, così come avvenuto in passato per i Paesi dell’Ue.



La costruzione della nuova frontiera delle emissioni zero e dell’economia verde, basata sulla riduzione e sulla sostituzione delle fonti non sostenibili e non rinnovabili, pone problemi rilevanti di dipendenza dalle importazioni (ad esempio, dalla Cina nel caso di terre rare, delle tecnologie e dei materiali per i panelli solari) e sulla dinamica dei prezzi. In pratica, sostituire nel breve periodo fonti energetiche senza ridurre i consumi (in aumento) può determinare costi, rischi e danni per l’Italia e gli Stati europei.

Inoltre, le fonti rinnovabili pongono un problema di uso del suolo. A differenza dei grandi impianti concentrati in pochi punti di produzione (centrali a gas, carbone o nucleari) necessitano di grandi superfici: è il caso dei (non) parchi eolici e degli impianti fotovoltaici diffusi che implicano problemi di collegamento alle grandi reti di distribuzione e di discontinuità della produzione energetica.

In sostanza i problemi per un utilizzo massiccio e adeguato delle fonti rinnovabili rispetto alla domanda di energia non mancano ed esistono buone ragioni a favore di un mix di fonti energetiche (dipendenza/autonomia energetica degli Stati, interessi geopolitici, continuità/discontinuità delle produzioni di energia).

Inoltre, nel dibattito sulla transizione ecologica, sui cambiamenti climatici, sulla bioeconomia c’è un grande assente: gli interessi del settore dell’agricoltura. È bene ricordare che la politica agricola costituisce da molti decenni la vera politica comunitaria e attualmente è sostanzialmente trascurata rispetto alla transizione ecologica.

Quest’ultima è un processo desiderabile e necessario, ma esistono buone ragioni per approfondire i costi (gli effetti economici per l’economia italiana e dell’Ue, ad esempio la produzione di automobili o almeno dei componenti in Italia per l’industria automobilistica tedesca e francese), i contenuti e i tempi della sua attuazione. Occorre fare bene tutti i conti per decidere che cosa fare e in che tempi.

Le politiche a favore dello sviluppo sostenibile non si esauriscono con il superbonus 110% per la riqualificazione energetica delle abitazioni private, lo sgravio dei veicoli ecologici delle aziende, la riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi, ma richiedono un utilizzo diffuso di criteri ambientali, sociali e di governance, peraltro raccomandati da Nazioni Unite, Ocse e Ue.

Di fronte al rebus della transizione ecologica sono numerosi gli approfondimenti da fare tenendo conto che nessun Paese sembra avere in agenda scelte altruiste.

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