Ieri il Comitato tecnico di emergenza e monitoraggio del sistema gas naturale “non ha ritenuto necessario il passaggio al livello di allerta, stante l’attuale livello della domanda e la possibilità di adottare comunque le misure preventive necessarie”.
Oggi il ministro della Transizione energetica incontrerà le aziende del settore per fare il punto sugli stoccaggi di gas. Ieri lo stesso Cingolani aveva prospettato il taglio dei consumi delle imprese energivore che hanno “contratti interrompibili” a fronte, secondo le ipotesi circolate, di una compensazione economica. Il riempimento degli stoccaggi di gas oggi è poco superiore al 50%, non distante dalla media di questo periodo, ma i flussi dalla Russia, la principale fonte di gas italiana, si sono ridotti. “L’emergenza” nasce dalla possibilità che il sistema italiano non riesca a trovare alternative al gas russo nei prossimi mesi e quindi che si arrivi all’inizio dell’inverno con gli stoccaggi insufficienti.
In questo scenario il Governo dovrebbe agire e imporre dei tagli. Gli indiziati sono le “imprese energivore” che verrebbero indennizzate. È una misura comunque traumatica perché i clienti delle imprese energivore cercherebbero altri fornitori che possano garantire forniture senza interruzioni; nel caso specifico imprese in un Paese che riesce a garantire al proprio sistema industriale il gas necessario. Le compensazioni, quindi, a emergenza finita, non ci restituirebbero le stesse imprese di prima.
Passato questo inverno, con qualche acciacco a meno di interruzioni totali, dovrebbero subentrare forniture da Paesi con cui il Governo italiano e le imprese energetiche hanno sottoscritto contratti nelle ultime settimane. L’urgenza dell’inverno 2022/2023 non si riproporrebbe per quello successivo perché nel frattempo verrebbero attivate le alternative. Le questioni diventano almeno due. La prima è l’affidabilità delle alternative e la seconda è il prezzo dell’energia nel nuovo scenario.
I Paesi africani del Mediterraneo, e in particolare l’Algeria, sono, nei piani del Governo, il principale sostituto del gas russo. Per l’Italia diventa fondamentale assicurarsi rapporti politici solidi con la sponda sud del Mediterraneo. I flussi dalla Libia sono ridotti al lumicino e l’Italia è fuori dai giochi dopo aver sprecato innumerevoli occasioni per rientrarci dopo la caduta di Gheddafi. L’Algeria ha un rapporto strategico, che tocca le forniture militari, con la Russia di Putin e, oltretutto, servirebbero investimenti importanti per aumentare le esportazioni. Con l’Egitto i rapporti sono ancora molto complicati. L’Italia poi dice di voler puntare tutto sulle rinnovabili con un piano da decine di giga di nuova capacità nei prossimi anni e rischia quindi di essere percepita come un partner inaffidabile sugli idrocarburi. I Paesi produttori preferiscono sempre incassare un po’ di meno, ma sottoscrivere contratti lunghi spesso oltre dieci anni.
La produzione nazionale nei fatti non viene incentivata. Occorrerebbe un intervento legislativo profondo per farla ripartire. La tassa sugli extraprofitti non ha alcun elemento di “sistema” com’è stato il caso, per esempio, di quella inglese che è deducibile dagli investimenti fatti in estrazione nazionale. La deducibilità è un incentivo alle imprese per migliorare la sicurezza energetica a prezzi contenuti.
Rimangono gli investimenti in rinnovabili. I prezzi di produzione delle pale eoliche negli ultimi mesi sono saliti molto. Le rinnovabili hanno il difetto di produrre energia non programmabile e volatile. I sistemi di stoccaggio che sarebbero necessari per ovviare al problema oggi non esistono e non esisteranno, in misura minimamente sufficiente, per i prossimi 5/10 anni. La Germania che ha speso diverse centinaia di miliardi di euro in rinnovabili in una fase prolungata di prezzi del gas ai minimi ed economia globale in crescita non ha risolto il problema. L’unica possibilità sarebbe il nucleare, ma anche ammettendo la volontà politica servirebbero 10/15 anni prima di avere nuovi reattori.
L’ultimo punto è “il tetto al prezzo del gas”. Servirebbe una revisione del sistema europeo su cui anche Draghi qualche settimana fa ha espresso riserve. Trovare un accordo su questo tema in tempi rapidi non è facile. È l’Europa che ha voluto imporre, dall’alto al basso, un sistema di “mercato”, basato sul prezzo “spot”, che ha fatto “fuori” i contratti di medio lungo termine che le imprese e gli Stati decidevano di sottoscrivere per la reciproca soddisfazione di tutti: Stati, imprese e clienti. È ancora l’Europa che, unica al mondo, ha deciso di puntare tutto sulle rinnovabili e pensa di recuperare il gas necessario prima che la transizione sia completata sul mercato “spot” senza nemmeno offrire impegni di lungo termine ai fornitori. I tempi della burocrazia europea sono biblici mentre lo scenario internazionale evolve di settimana in settimana.
Il piano italiano, per concludere, si delinea in tre fasi. Un inverno d’emergenza nel 2022/2023, poi l’attivazione delle alternative al gas russo, per il breve-medio periodo, in particolare nel Mediterraneo e poi le rinnovabili e gli stoccaggi su cui l’Italia non ha una produzione nazionale e su cui anche l’Europa non ha il controllo di tutta la catena di fornitura. A differenza, per esempio, della catena degli idrocarburi. La produzione nazionale è esclusa se non in misura limitata. Non servirà molto tempo per avere conferma o smentita della bontà della strategia.
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