Il Piano Mattei per l’Africa, in fase di studio presso il ministero degli Esteri italiano, è destinato a subire delle modifiche alla luce della crisi nel Mar Rosso. L’Italia deve rivedere la sua strategia e mettere in sicurezza tutta l’area, anche perché la Banca centrale europea (Bce) sottovaluta i pericoli del blocco dei traffici per i nostri porti. L’economista Carlo Pelanda prevede, infatti, il dimezzamento dei traffici via Suez e «una tendenza devastante per i porti italiani e dell’Adriatico-Jonio, compresa la Grecia se la crisi del Mar Rosso-Suez si prolungasse».



Ne parla sulla Verità, aggiungendo che non considera convincente l’analisi di Philip Lane, capo economista della Bce, secondo cui il rischio di inflazione da offerta dovuta a questa crisi nell’area meridionale dell’Eurozona è «di piccola entità». Per Pelanda i porti italiani «ne uscirebbero massacrati in relazione a quelli atlantici». Il sospetto è che la Bce non abbia strumenti monetari per contrastare l’inflazione da offerta. Il dubbio resta. «Forse chi scrive ha un eccesso di preoccupazione. Forse il fatto che gli Huthi non attacchino navi cinesi (Pechino fornisce all’Iran tecnolo gia evoluta) e russe ha rilassato qualche calcolo. Forse è in corso un negoziato segreto. C’è nebbia», scrive Pelanda.



“BISOGNA RIDURRE INFLUENZA RUSSIA E CINA NEL MAR ROSSO”

Il problema di mettere in sicurezza l’area del Mar Rosso e vicinanze è ormai evidente. «L’Arabia dovrebbe avere il medesimo interesse visto che la sua nuova megalopoli futuristica “Neom” sta sorgendo sul Mar Rosso». Carlo Pelanda cita anche l’Egitto, che prende miliardi da Suez e quindi non può rinunciarvi. Ci sono Sudan, Eritrea e Gibuti instabili, mentre l’Etiopia «ha appena siglato con il Somaliland – a vocazione indipendentista – un accordo per uno sbocco al mare e ha legami con Russia e Cina». Mettere in sicurezza il Mar Rosso, però, non vuol dire annullare le capacità belliche Houthi, ma portare pace e sviluppo sulla costa africana orientale direttamente sul Mar Rosso e a Sud di esso.



«Per farlo bisogna ridurre l’influenza russa e cinese sulla zona, ambedue non amate dai locali». Si potrebbe lavorare a un progetto che coinvolga, ad esempio, Unione europea, Regno Unito, America, India e Giappone. «L’Italia potrebbe essere attore proponente, mettendo in priorità questa geolinea, portandosi dietro una fetta di fondi europei del “Global gateway” dell’Ue (300 miliardi) e concentrandovi più risorse nazionali (ci sono miliardi destinati alla cooperazione), chiamando simili investimenti degli alleati». Un punto di incontro tra Mediterraneo e Indo-Pacifico.