L’ONU invita a non collaborare con la Libia sui migranti perché non vengono rispettati i diritti umani, ma in questo modo aprirebbe a una presenza ancora più massiccia di Russia e Turchia, che non vedono l’ora di consolidare la loro posizione nel Paese, la prima a est e la seconda a ovest. La spaccatura che impedisce la riunificazione non dispiace a Mosca e Ankara, che possono così continuare a coltivare i loro interessi. Ecco perché non si scompongono davanti alla notizia del litigio tra i due parlamenti, quello di Tripoli e quello di Bengasi, dopo che quest’ultimo ha approvato un bilancio unificato che i colleghi dell’ovest non digeriscono.



Il problema, spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di InsideOver, è sempre la gestione dei proventi del petrolio, che fanno litigare il leader di Tripoli Dbeibah con la Banca centrale e la Tripolitania con la Cirenaica, da sempre convinta di non ricevere abbastanza fondi nonostante la presenza sul suo territorio di giacimenti redditizi. L’unità del Paese, insomma, resta un’utopia.



L’alto commissario ONU per i diritti umani Volker Turk sostiene che la comunità internazionale debba rivedere o sospendere gli accordi sui migranti con le autorità libiche perché nel Paese vengono violati i diritti umani. Come mai questa uscita?

È risaputo da molti anni che in Libia il rispetto anche dei più elementari diritti umani spesso è messo in discussione. La tempistica di questo intervento sorprende. Nel Paese non esiste un vero Stato e spesso non esiste nemmeno una vera legge.

Nell’appello dell’ONU si parla di torture, fame indotta, lavori forzati, vendita di donne e bambini. Pratiche accertate?



Già da anni. All’interno dei campi libici succedono da tempo. In Libia spesso controllori e controllati si confondono. A volte è impossibile distinguere tra chi rappresenta le istituzioni e chi i trafficanti. Emblematico il caso di Bija, pericoloso trafficante visto anche con l’uniforme della Guardia costiera libica. Il controllo del territorio viene svolto dalle milizie locali, ma queste hanno anche agganci con la criminalità organizzata, fanno i loro interessi e non sono sottoposte a nessun controllo dall’alto.

Sono milizie asservite a personaggi governativi?

È anche vero il contrario, cioè che alcuni personaggi di governo sono asserviti alle milizie. L’elemento che predomina è la confusione. Il controllo del territorio è affidato alle milizie perché non c’è uno Stato e queste sfuggono a ogni controllo perché a volte sono esse stesse al governo.

La richiesta ONU è di sospendere la cooperazione, ma non si rischia di lasciare campo libero ai trafficanti?

Se si sospende la cooperazione da parte dell’Italia o dell’Europa, ci sono altri Paesi pronti a prendere il nostro posto: Russia e Turchia non fanno del rispetto dei diritti umani una priorità della politica estera. Senza una cooperazione con l’Occidente la Libia diventerebbe ancora più isolata e non ci sarebbe sviluppo, né economico né istituzionale, a scapito della pacificazione e unificazione del Paese. A livello internazionale spesso si opta per le sanzioni o per la sospensione della cooperazione, ma sono le strade più fallimentari che ci possano essere.

Proprio in questi giorni le ONG hanno rivelato che alcuni migranti si sono buttati a mare per paura di finire sotto il controllo della Guardia costiera libica. Alcune versioni dicono che sono stati presi di mira dai militari. C’è un problema di affidabilità dei libici?

Si sa che la Guardia costiera libica altro non è che un insieme di milizie alle quali è stata messa addosso una divisa. Ha questo tipo di approccio, ma se noi sospendiamo ogni collaborazione la Guardia costiera sarà istruita ed equipaggiata nell’ovest dai turchi e nell’est dai russi. Altra cosa è migliorare la collaborazione: dovremmo essere più vigili per vedere chi viene formato, come vengono utilizzati certi fondi.

L’uscita dell’ONU potrebbe essere legata al Trans Mediterranean Migration Forum che si terrà il 17 luglio a Tripoli e al quale parteciperà anche l’Italia insieme a Germania, Spagna e Malta?

Potrebbe essere, anche se di certezze non ce ne sono. Di certo ogni qualvolta c’è un’iniziativa diplomatica escono questi dossier, che rispecchiano la realtà ma sono noti da tempo. Se non è un tentativo di boicottaggio di certe iniziative diplomatiche, poco ci manca.

Il rappresentante delle Nazioni Unite per la Libia si è dimesso recentemente. Ma l’ONU è stato in grado di incidere sulla questione libica negli ultimi anni?

Seguo la Libia da più di dieci anni: ho visto alternarsi più inviati dell’ONU che governi italiani. Si tratta di una missione in cui nessun obiettivo è stato raggiunto e molti inviati speciali alla fine decidono di gettare la spugna.

Dal Forum del 17 luglio può uscire qualcosa?

Si sono succeduti tanti forum sulla Libia, economici, politici, per la riconciliazione, non hanno mai risolto nulla. Credo che sarà il solito ritrovo per attori libici e internazionali, ma non credo porterà a risultati importanti.

Tripoli e Bengasi litigano sul bilancio unificato dello Stato che la Camera dei rappresentanti (parlamento dell’est) ha votato con la contrarietà dei colleghi dell’ovest. La divisione regna sovrana?

I libici, per 42 anni governati da Gheddafi, non hanno mai sviluppato un vero senso dello Stato, sono stati unificati dai soldi e dal pugno di ferro del rais. Occorre tempo. Dovranno passare ancora molti anni. Sul bilancio, quando si dice che lo scontro è fra est e ovest si è molto ottimisti. Lo scontro innanzitutto è interno all’ovest. La Banca centrale di Tripoli assorbe gran parte dei proventi del petrolio e il governatore ha ammonito il primo ministro Dbeibah per spese ritenute eccessive, elettorali, effettuate per garantirsi la permanenza al potere. Questo ci fa capire due cose: che i proventi del petrolio vanno soprattutto verso ovest e che all’interno di questa parte del Paese c’è un problema di gestione.

E forse non è finita qui…

No, infatti a tutto questo si aggiunge la divisione con l’est, che sostiene che la gestione dei fondi del petrolio sia discriminatoria nei suoi confronti, che a fronte di giacimenti importanti nel Fezzan e nella Cirenaica queste regioni ricevono ben poco. Qui si arriva allo scontro tra parlamenti. Quello dell’est ha deciso di elaborare un proprio bilancio in cui cerca di parificare la distribuzione delle risorse, che però non andrà mai a genio a Tripoli.

Questa contrapposizione è tutta interna alla Libia o giocano interessi stranieri anche qui?

È un problema storico che risale ai tempi di Gheddafi, già allora Bengasi lamentava una discriminazione da parte di Tripoli. È così dalla scoperta dei primi giacimenti del petrolio. Poi ci sono le potenze straniere che non sono così dispiaciute di vedere un litigio tra i libici, permette loro di mantenere le rispettive influenze. Mentre gli USA da mesi spingono per una ritrovata unità, perché garantirebbe una minore influenza russa nell’est, per Mosca e Ankara le divisioni mantengono lo status quo e la possibilità di incidere in Cirenaica e a Tripoli.

L’Italia nel vertice NATO ha insistito per dare più attenzione al fronte Sud, all’Africa e quindi anche alla Libia. Che ruolo può avere in questo contesto?

Sotto il profilo diplomatico l’Italia sta facendo il suo. Roma segue da qualche anno con costanza le vicende libiche, ma da sola può incidere poco. Anche l’applicazione del Piano Mattei è complicata. È stato difficile pure organizzare il campionato libico di calcio in Italia, mettere d’accordo sei squadre, tre dell’est e tre dell’ovest: ci sono voluti diversi giorni per venirne a capo. Adesso lo stanno giocando fra l’Abruzzo e la Campania. Nello scambio bilaterale è previsto un accordo non solo economico ma anche sportivo, una partnership culturale: è un’appendice del Piano Mattei. L’Italia, comunque, può esercitare la sua influenza a livello di know-how e di conoscenze che ha sul territorio. Ma ha bisogno della UE e dell’Occidente, però lì non tutti hanno la stessa visione sulla Libia.

(Paolo Rossetti)

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