Nell’aprile dello scorso anno, Giorgia Meloni fece una importante visita in Etiopia, all’interno del cosiddetto “Piano Mattei” per l’Africa. In quell’occasione si tenne anche un incontro congiunto tra il nostro presidente del Consiglio, il primo ministro etiope Abiy Ahmed e il presidente somalo Hassan Sheikh. Un’iniziativa significativa, dato il passato coloniale dell’Italia nei due Paesi, oltre che nella vicina Eritrea. Da allora, la situazione in questa parte del Corno d’Africa è decisamente peggiorata e, in particolare, sono diventati molto tesi proprio i rapporti tra Etiopia e Somalia.
Dopo che l’Eritrea si è resa indipendente nel 1993, l’Etiopia ha perso l’accesso diretto al Mar Rosso e ha utilizzato come principale sbocco sul mare la vicina Repubblica di Gibuti. Nel tentativo di ampliare la sua presenza sul Mar Rosso, non solo sotto il profilo economico, l’Etiopia all’inizio di quest’anno ha firmato un Memorandum di intesa con il Somaliland. L’accordo, ancora non in atto, prevede l’utilizzo del porto di Berbera e la gestione per 50 anni da parte dell’Etiopia di una striscia costiera di vari chilometri, anche a scopi militari. Da parte sua, l’Etiopia riconoscerebbe l’indipendenza del Somaliland proclamata nel 1991, contestata dalla Somalia e non ratificata dalla comunità internazionale.
L’Unione Africana ha appoggiato la reazione negativa della Somalia, in nome del principio dell’integrità territoriale, mentre si sono mosse per trovare un accordo ed evitare un conflitto altre potenze regionali coinvolte nel settore, come Emirati Arabi Uniti e Turchia. Per Gibuti l’apertura di un nuovo accesso etiope sul Golfo di Aden rappresenta un grave danno economico e si è quindi mosso alla ricerca di una soluzione, offrendo all’Etiopia nuove possibilità di sbocco sul mare. Dietro le iniziative gibutiane vi è la Cina, che ha a Gibuti una base militare, come d’altro canto gli Stati Uniti. Il piccolo Stato è importante per il controllo del Bab el Mandeb, come lo è il Somaliland, tanto più visti gli attacchi alla navigazione nel Mar Rosso da parte degli houthi yemeniti.
A seguito della iniziativa etiope, la Somalia ha stipulato un trattato con l’Egitto che prevede anche la fornitura di armi e la partecipazione di militari egiziani nella missione dell’Unione Africana per sostenere il governo di Mogadiscio contro i fondamentalisti islamici di al Shabaab, collegati ad al Qaida. Attualmente l’Etiopia ha circa 10mila militari in Somalia, in parte per la citata missione e in parte per accordo diretto con Mogadiscio. Questi militari potrebbero essere sostituiti da un numero anche maggiore di soldati egiziani. L’alleanza tra Somalia ed Egitto si estende anche all’Eritrea.
Si apre così un altro fronte di contrasto tra Etiopia ed Egitto, che si affianca a quello esistente da parecchi anni attorno alla diga Gerd (Grand Ethiopian Renaissance Dam) costruita dall’Etiopia sul Nilo Azzurro. Iniziata nel 2011, ora la diga è completata al 90% e sono già iniziate le operazioni di riempimento. Egitto e Sudan hanno avanzato serie preoccupazioni per gli effetti negativi che la diga può avere sul loro approvvigionamento idrico. L’Egitto dipende per il 90% dall’acqua del Nilo e il Sudan teme anche che la diga possa portare a straripamenti del fiume nel suo territorio.
Rischi oggettivi che richiedono però, piuttosto che un conflitto, collaborazione tra i tre Paesi. Purtroppo, il Sudan è dilaniato da una sanguinosa guerra civile e l’Etiopia, dopo la fine della guerra interna nel Tigrai, deve ora fronteggiare contrasti nella regione degli Amhara. L’Egitto non presenta eccessivi problemi interni, ma trova nell’Etiopia un concorrente al ruolo geopolitico che vuole svolgere in questa parte dell’Africa, come già visto per la questione somala.
Ritornando alla visita di Giorgia Meloni dello scorso anno, l’Italia potrebbe esercitare un ruolo positivo nella regione, peraltro con le dovute cautele, date le crisi interne della maggior parte di questi Paesi. Una politica motivata anche dalla presenza di imprese italiane, a partire proprio dalla Gerd, dove gioca un importante ruolo la società italiana Webuild. In totale si stimano circa 150 le imprese italiane operanti in Etiopia. In più, Etiopia ed Egitto sono nella lista dei Paesi pilota per l’attuazione del “Piano Mattei” per l’Africa.
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