Il Ministero della Salute ha mandato alla Conferenza Stato-Regioni, per esame ed approvazione, il testo del nuovo Piano Nazionale della Cronicità. Bello, mi sono detto di primo acchito, perché è evidente che l’adeguato affronto del tema della cronicità è la più grossa sfida sanitaria che hanno di fronte oggi le nazioni come la nostra, e la nostra in particolare visto che la cronicità si sposa bene con l’avanzare dell’età e noi siamo tra le nazioni più anziane.



Cercando di lasciare da parte quella (inevitabile) patina di ideologia che si utilizza spesso (aprioristicamente pro o contro) quando si valutano gli atti di qualsiasi governo, e considerando che il precedente piano era stato approvato nel 2016 ed aveva quindi bisogno di una rinfrescatina (non a caso il nuovo si definisce “aggiornamento” avendo la necessità di rendere questo piano cogente con le norme ed i documenti di programmazione nazionale intervenuti successivamente al 2016), proviamo a leggerne gli elementi fondamentali a partire dalla constatazione che trattando di cronicità non si può pensare alla guarigione, che “gli obiettivi di cura nei pazienti con cronicità sono finalizzati al miglioramento del quadro clinico e dello stato funzionale, alla minimizzazione dei sintomi, alla prevenzione della disabilità e al miglioramento della qualità di vita”, e che per realizzare questi obiettivi (dice ancora il piano) “è necessaria la definizione di percorsi in grado di prendere in carico il paziente nel lungo termine, prevenire e contenere la disabilità, garantire la continuità assistenziale e l’integrazione degli interventi sanitari”.



Il piano, che aggiunge tre patologie (obesità, epilessia, endometriosi) a quelle già presenti nel 2016, che assume come base il modello assistenziale della medicina di iniziativa (perché proprio questo quando altre regioni come la Lombardia e l’Emilia Romagna hanno fatto scelte differenti?), e che pone un particolare accento sul tema della multimorbilità (presenza contemporanea di più patologie nella stessa persona), si compone di cinque fasi.

La prima fase ha lo scopo di sviluppare sistemi di stratificazione del rischio per fare in modo che i pazienti siano presi in carico in funzione della loro complessità e del loro bisogno di salute.



Nella seconda fase si parla di promozione della salute e di prevenzione (primaria, secondaria, terziaria, quaternaria) con l’obiettivo di incrementare le attività in corso.

La terza fase è quella della presa in carico e gestione del paziente attraverso il piano di cura, mirando alla ottimizzazione della organizzazione e del coordinamento dei servizi sanitari e ad una completa integrazione sociosanitaria attraverso modelli e strumenti atti a garantire la continuità delle cure.

La fase successiva (quarta), attraverso l’educazione del paziente ed il miglioramento della comunicazione tra professionisti ed assistiti, mira a favorire il coinvolgimento di pazienti e caregiver nel piano di cura.

La quinta ed ultima fase è quella del monitoraggio e della valutazione della qualità delle cure erogate, da effettuarsi con riferimento al DM 77/2022, alla metodologia del Nuovo Sistema di Garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza nonché al Programma Nazionale Esiti.

Il piano discute poi quelli che chiama gli aspetti trasversali dell’assistenza alla cronicità, e nello specifico: l’integrazione sociosanitaria, la sanità digitale, l’umanizzazione delle cure, il ruolo delle associazioni di tutela delle persone con malattie croniche e delle loro famiglie, il ruolo delle farmacie, la sanità di iniziativa ed empowerment; e conclude con un capitolo dedicato alla cronicità in età evolutiva.

Per ogni singolo capitolo il piano enuncia gli obiettivi, indica le linee di intervento proposte, elenca i risultati attesi, spiega il razionale, ed esplicita le criticità, con i relativi dettagli per ogni fase e per gli aspetti trasversali. La seconda parte del piano è poi dedicata a trattare nello specifico le tre nuove patologie (obesità, epilessia, endometriosi) che sono state aggiunte.

Trattandosi di un documento inviato alla Conferenza Stato-Regioni il testo si conclude, come di prammatica, con lo “Schema di accordo tra il Governo, le Regioni, …” nel quale si sancisce accordo.

E cosa decideranno le regioni? Si tratta certamente di un ottimo documento, ricco di attività da implementare, pieno di spunti, di obiettivi, di risultati attesi, non privo di criticità (molte già descritte nel testo stesso del piano) e meritevole di approfondita discussione su molti aspetti (il modello della sanità di iniziativa, il modello di stratificazione dei pazienti, il coinvolgimento dei professionisti, il rapporto tra enti centrali e periferici, …), ma temo che la decisione delle regioni non dipenderà da nessuno degli aspetti tecnici e dalle iniziative presenti nelle più di cento pagine del piano ma dipenderà solo dalla pazienza di arrivare alla lettura dell’ultima frase dell’ultima pagina del documento perché (in cauda venenum) vi è scritto: “All’attuazione del presente accordo si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, cioè la tipica frase in burocratichese per dire che per la realizzazione delle tante attività del piano non sarà messo a disposizione nemmeno un euro.

Non è necessario ricorrere alla saggezza popolare (non si fanno le nozze con i fichi secchi) e nemmeno invocare il genio della lampada per capire che (a prescindere dalle decisioni formali che prenderanno le regioni) questo piano è destinato ad essere un mero esercizio di stile (cioè un centinaio di pagine di semplice carta) utile solo per dire, contrariamente a quanto successo nel noto caso del piano pandemico, che questa volta abbiamo un piano per la cronicità perfettamente aggiornato, ma senza alcuna possibilità di realizzare nessuna delle molteplici attività dettagliate perfettamente nel testo del piano stesso.

E visto che non si intendono mettere risorse per la sua realizzazione forse risulta anche inutile aprire una discussione nel merito, se non al solo (dovuto) scopo di ringraziare chi si è assunto la fatica di preparare il testo.

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