Spettava Roberto Speranza aggiornare il piano pandemico e attivarlo. Sono gli inquirenti a smentire l’ex ministro della Salute: lo fanno nelle carte dell’inchiesta sulla gestione della prima fase della pandemia Covid. Stando ad una decisione del 22 ottobre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, l’Italia avrebbe dovuto presentarne uno ex novo nel 2014. Le successive varianti, in funzione delle linee guida dell’Oms, dovevano essere comunicate con cadenza triennale – quindi nel 2017 e nel 2020 – con un apposito questionario di autovalutazione. L’Italia aveva, infatti, un piano pandemico risalente al 2006. Il problema è che non ha mai fatto quanto richiesto. A ciò si aggiunge anche il tentativo di coprire i propri errori.



Come evidenziato da La Verità, citando Goffredo Zaccardi, capo di gabinetto del ministro Roberto Speranza (dimissionario nel settembre 2021), tutti coloro che si sono succeduti dal 2006 sono responsabili di non aver aggiornato il piano pandemico. Comunque, anche applicare quello del 2006 sarebbe stato utile per salvare migliaia di vite. Gli inquirenti di Bergamo hanno anche indicato una data precisa in cui andava attivato il piano pandemico: 5 gennaio 2020, giorno in cui l’Oms mandò un alert per mettere in guardia le autorità sanitarie riguardo una polmonite dalle cause sconosciute che stava imperversando in Cina. Anche se l’agente eziologico non era stato ancora identificato e confermato, col piano pandemico sarebbe stata innalzata almeno una barriera protettiva.



INCHIESTA “SMONTA” VERSIONE DI SPERANZA

I magistrati di Bergamo nelle carte dell’inchiesta scrivono che «il ministero della Salute, previa doverosa informazione al ministro, avrebbe dovuto procedere all’adozione di tutte quelle misure previste dal corrispondente livello di allerta del piano stesso». Quindi, il piano pandemico «doveva essere attuato dal direttore della Direzione generale della prevenzione del ministero della Salute, dottor. Claudio D’Amario». A questo punto, come evidenziato da La Verità, l’inchiesta smonta ciò che Speranza ha detto finora, cioè che il piano pandemico era inutile perché non pensato per il Covid. «A nulla possono valere le obiezioni secondo le quali il Covid-19 non è un virus influenzale, perché il 5 gennaio l’agente eziologico era sconosciuto; solo qualche giorno dopo verrà comunicato che si trattava di un coronavirus», obiettano gli inquirenti. Inoltre, dalle carte emerge che Speranza avrebbe provato ad attribuire la responsabilità dell’aggiornamento del piano pandemico ai tecnici del ministero della Salute. Anche in questo caso i magistrati lo smentiscono: «Un’altra circostanza che emerge non solo da questi ma da altri messaggi che verranno analizzati più avanti è che era l’ufficio del gabinetto che si stava occupando della revisione e aggiornamento del piano pandemico e non, quindi, la direzione generale Prevenzione, facendo ricadere, cosi, questa attività anche nell’alveo politico e non invece squisitamente tecnico, questione, questa, non di poco conto sulle attribuzioni di responsabilità».



LE “PRESSIONI” SU GIOVANNI REZZA

Una considerazione, rimarcano gli inquirenti di Bergamo, basata anche sul fatto che quando sono stati acquisti documenti presso il ministero della Salute, «tutti gli atti relativi al piano pandemico ed al suo aggiornamento erano negli uffici del gabinetto, tanto è vero che il relativo verbale di acquisizione documentazione redatto dalla pg è stato firmato dal titolare dell’ufficio, Goffredo Zaccardi». D’altra parte, il piano pandemico non fu aggiornato neppure dai due precedenti ministri della Salute, Beatrice Lorenzin e Giulia Grillo. Durante il mandato di quest’ultima cominciarono i lavori di aggiornamento, proseguiti all’arrivo di Speranza, ma tutto lentamente. Stando a quanto riportato da La Verità, alla fine del 2019 la bozza era pronta, ma si incagliò di nuovo negli uffici del Gabinetto di Speranza. Infatti, i magistrati rilanciano contro l’ex ministro: interrogato dai pm nel 2021, provò a scaricare ogni responsabilità, sostenendo che non competesse a lui aggiornare il piano, invece doveva dare indicazioni in proposito, infatti il suo Gabinetto si stava occupando della questione. Le carte dell’inchiesta evidenziano anche che Zaccardi fece pressione su Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione del ministero, affinché scrivesse un «appunto» sul piano pandemico debitamente aggiustato. Doveva affermare che era utilizzabile solo per l’influenza e non per il Covid. Ma non riuscì a sortire l’effetto sperato, infatti Rezza scrisse che «l’esperienza e le conoscenze acquisite fanno però sì che un piano pandemico, che nasce come preparazione e risposta agli eventi pandemici influenzali, possa in qualche modo, magari modularmente, essere adeguato a rispondere ad eventi imprevisti come quello attribuibile a Covid-19, ovvero a una malattia respiratoria emergente a potenziale pandemico».