I tempi… Tempi infiniti. Tempi da rispettare. Il Piano per il Sud presentato dal ministro Giuseppe Provenzano deve fare i conti, principalmente, con il mostro del Tempo che è il più pericoloso avversario di ogni progetto, tomba delle migliori intenzioni. Un mostro contro il quale in Italia, e in particolare nel Mezzogiorno, si è sempre perso.
Se è vero che la principale discontinuità della proposta sta nel metodo – come le slide di accompagnamento informano, e chi mastica di queste cose sa che il metodo è tutto – è proprio convincendo gli interlocutori sul rispetto dei tempi che si potrà guadagnare il sostegno di una comunità troppe volte illusa. Questa volta si fa sul serio, le cose promesse si faranno.
Sì, perché l’ampia dotazione finanziaria (123 miliardi in dieci anni) per quanto ragguardevole non è sufficiente a impressionare interlocutori che di miliardi – quelli in lire erano centinaia di migliaia – hanno sempre sentito parlare senza mai poterne apprezzare fino in fondo l’impatto sul territorio e nei portafogli perché troppe volte e per troppo a lungo inutilizzati.
Per superare l’obiezione che allungare l’orizzonte al 2030 può essere paragonato alla palla lanciata in tribuna – andatela a recuperare se ne siete capaci -, il Piano prevede per il 2020, il 2021 e il 2022 una dotazione di 21 miliardi (+65% rispetto al triennio 2016-2018, si fa notare) che già rappresenta un buon punto di partenza per recuperare la distanza perduta.
E neanche si può ironizzare più di tanto sull’ambizione del traguardo fissato così lontano rispetto alle incerte sorti del Governo – ipotecare i prossimi due lustri quando non c’è visibilità a due settimane – in quanto si è sempre detto e auspicato che occorre saper guardare ben oltre la dimensione del proprio naso e avere il coraggio di fissare obiettivi di lungo termine.
Dunque, il Piano risponde a criteri sempre reclamati e quasi mai rispettati – tranne che nella prima e gloriosa stagione della Cassa che resta però un pallido ricordo – rappresentando una base sulla quale si può e si deve lavorare: perché il successo di qualsiasi iniziativa non può essere stampato sulla carta, ma deve vivere nei comportamenti di tutti in tutti i giorni.
Tanto più che il contenuto non è velleitariamente rivoluzionario, ma si fonda su pochi e solidi punti che recuperano la vocazione nazionale dell’intervento – l’unica possibile – e mette in evidenza la forte interdipendenza economica tra le due parti del Paese in virtù della quale al Nord ritorna il 40% di quanto s’investe al Sud, come i dati di Srm insegnano.
Insomma, non ci sono scorciatoie e neanche più alibi. La strada è tracciata e va percorsa per intero se si vogliono ottenere i risultati desiderati. Infrastrutture, lavoro, formazione, ricerca, giovani, cultura, ecologia, città, Pubblica amministrazione, Mediterraneo… le parole chiave sono tante e tutte declinate nella versione del coinvolgimento e della crescita.
Perché non si tratti dell’ennesimo libro dei sogni – rischio sempre presente indipendentemente dalla volontà di chi il libro lo scrive – occorre rimboccarsi le maniche e stilare la lista delle priorità: da dove partire domani e come proseguire nei giorni seguenti. Evitando di rifugiarsi nella comoda postazione dello scetticismo e sgombrando il campo dalla pratica del rinvio.
Vale sempre la regola che sperimentare l’ebbrezza del successo resta il miglior modo per convincersi che il successo può arrivare.