Serviva un ministro socialista per riscrivere da cima a fondo la politica italiana per il Sud. Socialista nel senso di sinistra-sinistra, così come oggi si usa classificare quella corrente di pensiero che sta esprimendo nuovi leader, al di là di Corbyn e Sanders, in America come in Europa, da Alexandria Ocasio-Cortez a Elly Schlein. La grande crisi di questi ultimi 10 anni ha riabilitato un approccio radicale ai problemi della società.



Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud da pochi mesi, si autodefinisce spesso socialista. Lo fa con intento provocatorio. Ma ha solo 38 anni, gli anni giusti per essere sufficientemente irriverente nei confronti di tutti coloro che lo hanno preceduto e che da oltre mezzo secolo tentano di trovare la soluzione al divario crescente tra il nord e il sud del Paese.



Il ”Piano per il Sud” presentato ieri a Gioia Tauro, città simbolo degli insuccessi delle politiche per il Mezzogiorno, ha esattamente questi tratti distintivi: è irriverente, visionario, ambizioso.

Era molto tempo che nessuno cercava di mettere mano ad un piano così ampio. Negli ultimi anni era così forte la consapevolezza della perdita di centralità della questione meridionale, che chi aveva il malcapitato compito di occuparsene si limitava a selezionare poche ma chiare priorità. Quasi una forma di autocensura preventiva. Considerando impossibile far accettare ai più un complesso piano organico, sembrava più ragionevole concentrasi su poche cose da fare.



Provenzano non ci pensa nemmeno, passa direttamente alla redazione del libro dei sogni.

D’altra parte le cose sono giunte ad un punto tale che ogni approccio minimalista apparirebbe solo come un’ammissione di responsabilità. Meglio sarebbe abdicare subito.

Il giovane ministro invece non si è perso d’animo e ha messo su carta, punto per punto, tutto quello che va fatto, indicando azioni su azioni, e collocando ogni questione dentro un quadro più generale: rilanciare il Sud è forse l’ultima possibilità che l’Italia ha per restare una potenza mondiale.

La chiave di volta del piano è un numero, il 34. È infatti questa la frontiera su cui non si ha alcuna intenzione di recedere. È la percentuale di investimenti a cui il Mezzogiorno ha diritto e che in questi anni non è mai stata rispettata. Rappresenta il peso specifico del Sud nel complesso sistema-Paese, ma è anche la pietra di paragone di quanto in questi anni è stato tolto al Sud e dato al Nord. La cifra di una grave ingiustizia, che non ha solo colpito 20 milioni di italiani e un terzo della penisola, ma ha impoverito anche i restanti cittadini del Centro-Nord.

D’ora in avanti il 34% sarà un obbligo, diventerà una legge dello Stato: entro il 30 marzo il governo si è impegnato a introdurre la clausola che imporrà che per ogni 100 euro spesi, 34 dovranno essere destinati al Sud. È la regola dell’uguaglianza, non la storiella della solidarietà. Questa prima decisione – è la speranza del ministro – dovrebbe almeno impedire che la forbice si allarghi. Ma già questa sarebbe una piccola rivoluzione. Se si pensa che dal 2008 al 2018 la spesa per investimenti al Sud si è più che dimezzata, passando da 21 miliardi a 10,5. Ecco spiegata la grande fuga dal Mezzogiorno: ben 612mila giovani sono andati via, di cui 240mila laureati. Da qui la prima decisione, netta, radicale, che nessuno aveva più il coraggio di proporre: più soldi al Sud, una iniezione massiccia, decine, centinaia di miliardi per i prossimi anni: 123 per la precisione, entro il 2030.

Più soldi per fare cosa? Anche qui la risposta è semplice quanto ambiziosa: per fare tutto quello che serve. Scuola, infrastrutture, welfare, innovazione tecnologica, pubblica amministrazione, green economy. Ecco, se per decenni ci siamo arrovellati nel cercare le priorità, abbiamo battuta la testa e litigato per trovare il bandolo della matassa da cui ripartire, ora la matassa ingarbugliata viene tagliata di netto, con un bel colpo di forbice. Serve però un’idea concreta del Sud e degli obiettivi da raggiungere: i giovani e la scuola, il Mediterraneo, la trasformazione digitale, la svolta ecologica. Per ogni capitolo, con precisione, sono indicate tutte le azioni da intraprendere, le misure da attivare, i programmi da riscrivere, gli incentivi da erogare.

Ma se fino ad oggi non siamo riusciti a spendere neanche i pochi soldi che avevamo?, si chiederanno adesso gli scettici. Guardate cosa è successo ai fondi europei, spesi solo in minima parte. Ed anche su questo il piano non arretra, non cede alla cultura della soluzione “straordinaria”, del “commissario” con i pieni poteri. Il piano parla semplicemente di un “nuovo metodo”. In cosa consisterebbe questo nuovo metodo? Ricostruire una pubblica amministrazione allo sbando, assumere migliaia di giovani (10mila subito) con competenze nuove (ingegneri, operatori culturali, digital manager), affiancare la pubblica amministrazione locale con una task-force in grado di aiutarla a progettare e a fare le gare, a far partire i cantieri, sostituire le eventuali amministrazioni inadempienti.

Manca però un discorso approfondito sul rapporto tra pubblico e privato, poco spazio viene riconosciuto al partenariato, sia per la realizzazione che per la gestione dei progetti. Non si affronta il tema di come attirare capitali e competenze imprenditoriali. Né si affronta perché il Sud è escluso da quel processo di concentrazione delle grandi multiutilities (le quotate A2A, Iren, Acea, Hera) che oggi rappresenta forse la ragione più grave del divario di qualità dei servizi offerti ai cittadini. Altrettanto vale per il trasporto pubblico o per la sanità.

Non so se effettivamente il piano sia costato gli oltre 30mila chilometri percorsi in meno di sei mesi, come con enfasi si fa riferimento nella presentazione, ma in ogni caso bisogna dare atto al ministro Provenzano di aver colto nel segno e di aver presentato un progetto a cui è difficile fare critiche. I punti di forza sono due: più soldi, ma davvero tanti più soldi, e un’ambizioso piano organico, in grado di cogliere le reali opportunità di sviluppo, il Mediterraneo prima di ogni altra cosa. I punti di debolezza restano l’inconsistenza dell’amministrazione pubblica locale e l’eccessivo timore di proporre un’alleanza strategica ai privati, guardati ancora con troppo sospetto.

Infine un’annotazione a margine su quanto sostenuto in questi mesi dal Sussidiario, a cominciare dagli incontri promossi a Napoli e a Caserta con “I giorni del Sud”.

Sembra esserci – con il piano proposto ieri – una corrispondenza ideale perfetta. Soprattutto sui temi relativi al ruolo che deve assolvere il Mezzogiorno nello scacchiere Mediterraneo e l’importanza della circolazione dei talenti, che appunto non dobbiamo trattenere (parola che per fortuna non leggiamo nel piano) ma attrarre e conquistare. Siamo soddisfatti per aver contribuito, anche solo in parte, all’affermazione di un punto di vista nuovo del Sud e siamo così motivati a dare ancora con più impegno il nostro contributo in futuro.