Ieri il quotidiano Milano Finanza ha pubblicato le anticipazioni di un piano di rilancio dell’economia italiana di Colao. Il piano verrà presentato nei prossimi giorni, ma alcuni punti possono essere già discussi grazie proprio alle anticipazioni di ieri. Il piano parte dal presupposto che è impossibile sostenere le imprese esclusivamente con la leva fiscale dato il debito pubblico su Pil e la spesa delle pubbliche amministrazioni. Da queste premesse prenderebbe corpo un piano tutto incentrato su incentivi fiscali alla ricerca e sviluppo, all’accrescimento delle dimensioni delle imprese e alle fusioni tra di esse.



Ci sarà un “fondo per lo sviluppo” garantito da partecipazioni statali, dalle riserve auree della Banca d’Italia gestito da Cdp, ma le cui quote saranno piazzate a investitori istituzionali e, forse, anche al retail. I fondi verranno investiti nell’industria 4.0 e in industrie “innovative”. Da ultimo ci sarà una riforma della legge fallimentare perché dato che falliranno molte imprese occorre snellire le procedure in modo che si possa procedere brevemente alla cessione delle stesse, alla loro fusione o liquidazione. Senza interventi a fondo perduto questo è certamente l’unico epilogo.



Questo piano è la road map per lo smantellamento del sistema industriale italiano e la sua vendita a prezzi di strasaldo alle imprese più “grandi”, ovviamente in maggioranza “europee”, con poi poche risorse da reimmettere nel sistema vendendo tutto quello che rimane dell’argenteria italiana, ovviamente anche in questo caso a prezzi di saldo vista la crisi che sta arrivando.

Si rinuncia per principio a fare quello che si fa nel resto d’Europa proprio con aiuti a fondo perduto e tagli fiscali che sostengano proprio quelle pmi che il nostro Stato vuole evidentemente liquidare in favore di non si capisce cosa. Si rinuncia persino a chiedere soldi ai cittadini italiani che messi di fronte all’alternativa probabilmente aprirebbero i cordoni pur di non vedere questo scempio assoluto.



Oggi un’azienda, “tradizionale”, ha bisogno come in Germania e in Francia di risorse a fondo perduto e tagli fiscali che stimolino la voglia di fare impresa. Non c’è bisogno che sia lo Stato a decidere chi deve morire e chi, pochi, sopravvivere. Questo avviene in Europa anche in Stati che sono messi poco meglio di noi in termini di finanza pubblica, o forse peggio, come la Francia. Per il grosso del sistema industriale italiano l’unico approdo è la procedura fallimentare o la cessione. A chi? Alle imprese italiane moribonde dalla crisi e senza soldi? Ovviamente a quelle salvate dai rispettivi Stati a forza di aiuti pubblici. Oltretutto con procedure concorsuali da terminare in tempi brevissimi.

La chicca finale è la liquidazione del patrimonio pubblico italiano per finanziare, non si capisce con quali criteri, le imprese innovative o che se lo meritano. Si apre uno spazio di discrezionalità politica, di dirigismo infinito che ovviamente solletica gli appetiti più nascosti della politica che potrà fare leva sulle poche preziosissime risorse disponibili in Italia in una landa desolata di imprese che falliscono e presentano i libri in tribunale. Tutto questo perché non si riesce a pensare fuori da vincoli che nell’Unione europea ormai non vuole più nessuno come si vede dalla scarsissima adesione al Mes a cui hanno detto di no Francia, Spagna e Grecia. In pratica si realizza il sogno del vincolo esterno perenne che distrugge il sistema produttivo e garantisce la rendita. Chi rimane a gestire l’Italia rimane come viceré.

Questo è il programma economico di Colao: niente risorse a fondo perduto, niente taglio del cuneo fiscale “sussidiario”, svendita del patrimonio pubblico e procedure fallimentari rapide e snelle per gestire la montagna impressionante di fallimenti che ci saranno. Speriamo davvero che questo non sia un programma di governo. Ci vengono i brividi. Almeno chiederemmo un minimo di onestà intellettuale e di titolarlo così: la liquidazione dell’Italia rapida. Aggiungeremmo indolore, ma ovviamente in questo caso proprio non è possibile. Gode invece “l’Europa” che infatti fa il tifo sfegatato per gli europeisti italiani. Gli unici politici non sovranisti d’Europa come si evince ormai in modo inequivocabile osservando quello che succede al di là delle Alpi. Il Recovery fund? È il prezzo per comprare l’Italia a saldo. L’affare della vita. Soprattutto in tempi di crisi.

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