PIANO UE PER LIMITARE I PESTICIDI: STATI DIVISI E I DUBBI SU…

Continua a far discutere il nuovo piano presentato nell’estate 2022 dalla Commissione Europea per la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi nei prossimi anni: la proposta legislativa avanzata dalla Commissione Ambiente all’europarlamento in merito all’impiego sostenibile dei prodotti cosiddetti fitosanitari infatti sta incontrando la resistenza di diversi Paesi Membri della UE, tra cui la stessa Italia, chiedendo alla stessa commissione altri dati per poter valutare l’impatto delle possibili nuove regole sulla produzione. Secondo quanto riporta Euractiv in un pezzo dedicato alla questione, nuove soluzioni per il controllo dei parassiti esisterebbero ma sono attualmente bloccate: secondo la rete dei media paneuropea che si occupa quotidianamente delle politiche dell’Unione, infatti, non mancano studi promettenti che aiuterebbero a ridurre drasticamente l’uso dei pesticidi ma a fungere da collo di bottiglia sono regolamentazioni inadeguate e scarsa fiducia.



Nel pezzo sopra citato si ricorda infatti come l’obiettivo di ridurre l’utilizzo dei pesticidi chimici entro il 2030 con la sostituzione di almeno metà dei prodotti fitosanitari dalla rotazione delle culture e l’agricoltura di precisione: sin da subito, stante la bontà della proposta avanzata dalla Commissione incaricata, i principali dubbi si sono concentrati sulle reali possibilità che gli agricoltori abbiano gli strumenti adeguati per perseguire quest’obiettivo. Ecco perché, secondo Linda Field (biologa molecolare sentita da Euractiv, molto rinomata nel settore e professore emerito presso Rothamsted, uno dei principali istituti agricoli al mondo) pur con qualche perplessità si è detta “ottimista sul fatto che faremo passi da gigante nei prossimi anni”. La ricercatrice punta su un approccio di sistema che combinerebbe ‘chimica selettiva’ e colture più resistenti. Il suo centro di ricerca peraltro ha in cantiere diversi progetti molto promettenti (ad esempio mediante il sequenziamento del genoma dei parassiti, i fasci LED che aiutano nell’identificazione delle specie di insetti) ma tutto resta bloccato nella “pipeline”, ovvero durante il processo.



RICERCATORI: “SOLUZIONI INNOVATIVE CI SONO, MA RESTANO NEI LABORATORI PERCHE’…”

Sam Cook, ecologista comportamentale di servizio anch’egli a Rothamsted, punta il dito contro la difficoltà di certe innovazioni (l’impego di nemici naturali “già presenti nell’ambiente” contro i parassiti delle colture) a passare dalla ricerca al campo di applicazione, rimanendo di fatto circostanziate ai laboratori di ricerca. Colpa della regolamentazione in vigore e pure delle aziende che spesso non sono disposte a investire in metodi alternativi dato che, a loro discapito, sanno che il processo normativo non solo è complesso ma incapace di far fronte alle innovazioni e tanto costoso da non valere un investimento. La conseguenza? Per entrambi i ricercatori l’onere ricade ancora una volta sugli agricoltori, non adeguatamente ricompensati per assumersi un rischio ed essere parte del cambiamento. E, allo stato attuale “non conviene ai consulenti commerciali consigliare loro delle alternative ‘rischiose’ (…) e ciò incoraggia molti a suggerire l’irrorazione di pesticidi perché più sicura e semplice”.



Ad esempio, ricollegandosi ai problemi sopra citati, l’ANSES (ovvero l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare) sta valutando da un anno e mezzo i possibili effetti nocivi dei pesticidi SDHI, quali il Boscalid ma un articolo apparso di recente su ‘Le Monde’ mette in guardia da chi vuole minimizzare i rischi per la nostra salute, tra pareri divergenti e discordanze tra i ricercatori. Anzi, Oltralpe l’Agenzia ora è nel caos per la valutazione di questo fungicida sospettato di essere tossico per l’uomo, pur venendo spesso rinvenuto in alcuni test alimentari su prodotti di largo consumo: una spaccatura in seno all’ente ha portato solo alcuni a ritenere inaccettabili i rischi per la salute delle nostre cellule e l’ambiente. Già nel 2018 nell’Esagono un gruppo di ricercatori, tossicologi e oncologi, assieme all’Istituto Nazionale di Salute e Ricerca Medica, aveva espresso la propria preoccupazione per l’utilizzo degli SDHI in agricoltura: da lì l’idea della costituzione di una sorta di task force di esperti che tuttavia ancora non è arrivata a un parere definitivo sui fungicidi in questione. Per il quotidiano francese, la prima fase di questa perizia si era conclusa forse “troppo frettolosamente” alla fine di maggio, senza però che ANSES la pubblicasse prima dell’autunno. E senza nemmeno la certezza che i risultati possano chiudere definitivamente la disputa in merito agli SDHI, tra contrasti in seno all’Agenzia e minimizzazioni sulla possibile tossicità.