Le azioni delle società legate al settore del commercio tradizionale dei viaggi, del turismo, incluse le compagnie aree ma non solo, ieri sono “esplose” dopo la notizia del piano del Governo inglese per riaprire completamente l’economia. Il piano ha cinque date fondamentali: l’8 marzo riapriranno le scuole e sarà permesso a due persone di sedersi assieme all’aria aperta; il 29 marzo sei persone appartenenti a due nuclei famigliari potranno incontrarsi all’aria aperta, riapriranno gli sport all’aria aperta e sarà permesso viaggiare liberamente fuori dalle aree locali; il 12 aprile apriranno le attività non essenziali, i ristoranti all’aria aperta, le piscine e le palestre e anche gli hotel “self contained”; il 17 maggio tutte le regole sul distanziamento all’aria aperta saranno tolte, sei persone di due nuclei famigliari potranno incontrarsi al chiuso e apriranno i ristoranti e gli hotel al chiuso; il 21 giugno tutti i limiti sui contatti sociali verranno eliminati. Boris Johnson ha dichiarato che “il piano è cauto ma irreversibile” e il mercato, questo è quello che conta, ci ha creduto e ci hanno creduto anche i sudditi di sua maestà perché diverse compagnie aree, tra cui Easyjet e Ryanair, hanno segnalato un eccezionale incremento nelle prenotazioni dei voli. 



Questo approccio è esattamente ciò che chiede l’economia e cioè un piano visibile e certo su cui programmare per tempo le aperture, gli investimenti ma non solo: anche i contatti con le banche con le società di ristrutturazione e poi tutto l’enorme indotto che il commercio tradizionale e il turismo si portano dietro. Viceversa l’incertezza, come le chiusure, ammazzano l’impresa e soprattutto la voglia di fare impresa; basti pensare a quanto successo agli impianti sciistici.



La notizia e la reazione di ieri ci ricordano due questioni semplici. La prima è questa: non c’è Recovery fund, riforma della giustizia o codice degli appalti che possa sostituire le riaperture. Tutte le riforme bellissime che possiamo immaginare, studiare e alla fine approvare non contano niente se la gente è obbligata a stare a casa e se è tutto chiuso. La “riapertura” è la condizione necessaria su cui, poi, montare tutte le migliori riforme che si aspettano da anni. Le stime di Pil che vengono fatte da istituti di ricerca pubblici o privati, banche d’affari o agenzie di rating alla fine si basano primariamente su una grande assunzione sulle modalità e la velocità delle riaperture.



La seconda questione è questa: il piano di riapertura non dipende dal fatto che la Gran Bretagna abbia fatto un lockdown che non ha fatto l’anno scorso. L’Italia, per esempio, nel 2020 ha fatto, secondo l’Ocse, il lockdown più lungo, duro e capillare dopo la Cina eppure, oggi, il settore del turismo e del commercio fisico sta male esattamente come quello inglese o al limite un po’ meglio. Siamo certi che ogni ristoratore, proprietario di hotel o negoziante vorrebbe avere oggi lo stesso piano inglese. Questo “piano” dicevamo non è possibile grazie al lockdown di oggi ma alla campagna vaccinale su cui la Gran Bretagna è di gran lunga avanti rispetto a qualsiasi altro Paese europeo. La Gran Bretagna ha già vaccinato quasi il 30% della popolazione contro il 6% di Germania, Francia e Italia e contro una performance ugualmente deludente dell’Unione europea che sul tema vaccino ha collezionato una figura pessima sullo scenario internazionale al punto che la principale economia europea, capendo perfettamente cosa in questo momento sia richiesto per ripartire, ha fatto da sola.

Qualsiasi cosa si pensi queste sono le “regole” nel contesto attuale: per fare il Pil e per la ripresa dell’economia serve innanzitutto la riapertura delle attività e perché questo sia possibile serve che la percentuale di popolazione vaccinata sia alta con tutte le cautele e le prudenze del caso. 

Bloomberg ieri riportava come una delle destinazioni più “popolari” nel boom di prenotazioni degli inglesi, secondo Ryanair, fosse l’Italia. Per chiudere la distanza tra prenotazioni e arrivi serve che in Italia la situazione sia, più o meno simile, a quella degli altri Paesi europei destinazione del turismo. Non è una questione di lockdown che dobbiamo fare ora come abbiamo imparato per le promesse non mantenute sui lockdown di novembre per riaprire a Natale. È una questione di protocolli per aprire in sicurezza e vaccini. La competizione tra Stati, dentro e fuori l’Unione europea, si gioca soprattutto su questo.

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