“Entrando qui si capisce che ne usciremo”. Lo ha detto Mario Draghi all’inizio della sua visita all’hub vaccinale di Fiumicino. Nell’occasione il presidente del Consiglio ha parlato anche del nuovo piano vaccinale, che prevede 5 categorie in ordine di priorità: persone estremamente vulnerabili o con disabilità grave; persone di età compresa tra 70 e 79 anni; persone di età compresa tra i 60 e i 69 anni; persone con comorbidità di età inferiore a 60 anni, senza quella connotazione di gravità riportata per le persone estremamente vulnerabili; resto della popolazione di età inferiore a 60 anni. La parola d’ordine è una: accelerare il più possibile. “Il nostro obiettivo – ha spiegato Draghi – è quello di utilizzare tutti gli spazi utili disponibili per le vaccinazioni. Ci si potrà vaccinare non solo negli ospedali, ma anche nelle aziende, nelle palestre e nei parcheggi come questo di Fiumicino. In Italia sono già operativi 1.694 siti vaccinali fissi e altri verranno individuati”. E ha aggiunto: “Per questo cambio di passo, avremo bisogno dell’aiuto di molti”. Un cambio di passo che comincia a far sentire i suoi effetti: “Solo nei primi undici giorni di marzo è stato somministrato quasi il 30% di tutte le vaccinazioni fatte fino all’inizio di questo mese: è il doppio della media dei due mesi precedenti. Il ritmo giornaliero attuale è di circa 170mila somministrazioni al giorno. L’obiettivo è triplicarlo presto”. “Finalmente non si parla solo di approvvigionamenti, ma di flussi giornalieri – osserva subito Luca Lanini, professore di Logistica all’Università Cattolica di Piacenza e membro del comitato scientifico del Freight Leaders Council –. E l’accelerazione auspicata da Draghi è, allo stato attuale delle cose, l’operazione più efficace in termini di risultati, ma non la più efficiente in termini di costi e di mobilitazione delle risorse, perché servirà molto più personale e richiederà la risoluzione di molti passaggi complicati”.



Complessivamente che giudizio si sente di dare al nuovo piano vaccini del governo?

Anche se mancano ancora molte informazioni e su alcuni punti si ricalcano quelli del piano Arcuri, è evidente un cambio totale di strategia. Quella precedente era sbagliata e oggi era necessario cambiare passo.

Dove nota la differenza maggiore?



Abbiamo preso atto che non siamo in grado di attuare in tutta Italia, come invece hanno fatto altri paesi, l’idea di realizzare 200 grandi centri vaccinali da 2.500 dosi al giorno per gestire l’80% delle somministrazioni, una strada che comunque hanno iniziato a percorrere l’Emilia Romagna e la Toscana. Sarebbe stata la soluzione logisticamente migliore, se fossimo partiti con il giusto anticipo, perché ciò avrebbe comportato un minor utilizzo di personale e un minor esborso di risorse. Sarebbe stata la strategia più efficiente.

Perché non è stata scelta questa strada?

Oggi partire da zero sarebbe troppo complicato e lungo.



Il piano prevede l’utilizzo di tutti gli spazi disponibili, la presenza di un grande centro vaccinale nei comuni con più di 50mila abitanti e unità vaccinali mobili per i paesi più piccoli e sperduti. Come valuta queste misure?

È un piano vaccini completamente diverso dal precedente, perché si basa su una vaccinazione a tappeto. Richiederà però un grande sforzo di reclutamento di personale, e su questo fronte l’impegno del governo non manca. Le due operazioni vanno a braccetto. Ma si manda un segnale chiarissimo, certificando il totale fallimento del piano Arcuri.

“In Italia sono già operativi 1.694 siti vaccinali fissi e altri verranno individuati”, ha detto Draghi, con l’intenzione di avere un punto di somministrazione ogni 40mila abitanti. Giusto aumentare i punti vaccinali?

Questo obiettivo non fa altro che riprendere i 2mila punti vaccinali di cui aveva già parlato Arcuri. Si conferma cioè la stessa ossatura. Con la differenza, però, che Arcuri pensava alle piazze e alle primule, mentre qui si è giustamente pensato di utilizzare siti già esistenti. Quindi, si accetta la sfida e si gioca la grande scommessa di reperire velocemente quel personale che l’ex commissario non era riuscito a reperire.

Da lunedì 15 marzo inizierà la conversione in centri vaccinali dei drive through dell’Esercito, oggi adibiti all’esecuzione dei tamponi. Scelta condivisibile?

I drive thorugh, che sono uno strumento da manuale di logistica, rappresentano una delle risposte possibili per attuare una somministrazione diffusa. L’unico neo è che per ogni drive through ci vorranno una ventina di persone per inoculare 300-400 vaccini al giorno: è un rapporto troppo scarso.

È prevista anche la vaccinazione nelle aziende. È una buona idea?

Sì, perché è coerente con la strategia del nuovo piano parcellizzato. E questo è un principio logistico positivo: puntare su un modello ben preciso e attuarlo con scelte coerenti. Implica strutture molto flessibili, ma la vaccinazione in azienda consentirà di concentrare le somministrazioni, evitando di doverle spalmare su un arco di tempo più lungo, perché sarà più facile convogliare i flussi dei soggetti da vaccinare.

Oggi si somministrano 170mila dosi giornaliere, ma l’obiettivo di Draghi è triplicare questa cifra. È fattibile?

Ritengo largamente positiva l’idea di arrivare a 500mila dosi giornaliere, come già avevamo anticipato e auspicato. Servirà però più personale.

Quali punti deboli o criticità intravede nel nuovo piano dal punto di vista logistico?

Il piano prevede due assi vaccinali: l’hub di Pratica di Mare e i centri vaccinali sparsi sul territorio. Non ci sono però sufficienti informazioni per capire il modello organizzativo pratico di dettaglio. Ma l’idea di Pratica di Mare come centro di stoccaggio nazionale non mi convince, era preferibile delocalizzare le scorte. Con la scelta dell’hub unico la successiva distribuzione capillare diventa un’operazione costosa e inefficiente, anche se affidarla ai militari garantisce maggiore sicurezza e controllo. Ma non mi convince che la distribuzione sia gestita dai militari.

Perché?

Non si sa se i militari cureranno il primo miglio oppure l’ultimo miglio.

Cosa intende dire?

Il modello logistico è chiaro: va gestito in arrivo un grande flusso di fiale, trasportato dagli operatori logistici, come fa per esempio Dhl per Pfizer. Il punto è: dove si fanno arrivare questi carichi? Se fossero tutti convogliati su Pratica di Mare e poi smistati nei 2mila punti vaccinali, non sarebbe una buona idea, è un’occasione persa. Meglio chiedere ai logistici delle aziende farmaceutiche di provvedere direttamente al trasporto fino ai centri vaccinali. Ma al momento non sappiamo come funzionerà questa distribuzione.

E l’ultimo miglio?

Va bene invece se la consegna dei vaccini nei punti mobili destinati ai comuni più piccoli o più sperduti avviene attraverso l’Esercito o la Protezione civile. Ma in questo caso parliamo di flussi inferiori al 10% del totale. Militari e protezione civile, a mio avviso, devono partire dai punti vaccinali per smistare queste piccole quantità. Ma anche questo resta un punto oscuro.

Draghi ha però ricordato l’importanza della logistica in questa campagna vaccinale. Dove può dare il suo contributo?

Rispetto alla visione anti-logistica del piano precedente, si nota un passo avanti, però sulla pianificazione logistica – dagli arrivi delle forniture alle consegne ai centri vaccinali – si sa ancora troppo poco, per ora si vedono i nodi organizzativi. Immagino che ci siano documenti tecnici più operativi e dettagliati. L’altro ambito in cui la logistica può dare un contributo è la digitalizzazione, cioè la capacità di avere sotto controllo lo stock reale, i fabbisogni reali, gli andamenti reali dei flussi. La logistica è la capacità di mandare un lotto da una parte o dall’altra in funzione dei bisogni, non in urgenza, ma in previsione. Deve, cioè, saper prevedere se in quel determinato luogo tra una settimana mancherà un lotto, dandosi da fare per risolvere il problema entro i successivi sette giorni.

Un’ultima domanda: il governo vuole introdurre regole uguali per tutte le Regioni. È giusto?

È positivo se ciò obbliga le Regioni più inefficienti a migliorare i propri standard, perché va assolutamente evitato che questa omogeneità possa diventare una sorta di tappo per le Regioni più virtuose ed efficienti. Si deve seguire, come ha ricordato lo stesso Draghi, una logica sussidiaria: lasciare correre i più bravi e intervenire solo là dove si deve aiutare chi è in ritardo o sta avendo dei problemi.

(Marco Biscella)

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