Fin da quando nel mondo sono apparsi i primi segnali del Covid-19, le autorità si sono poste la domanda su come, una volta trovato il vaccino, non solo organizzare un’operazione di massa a livello sanitario come mai se ne son viste, ma pure chi avrebbe dovuto essere posto in primo piano, tra le categorie a rischio, per essere salvaguardato. Va da sé che si è subito giustamente parlato sia di operatori sanitari che di persone anziane (queste ultime registrano la percentuale di morti più alta dovuta al virus), ma si è tralasciato di porre in evidenza un gruppo di persone che, anche a un esame superficiale, costituisce un’altra categoria a rischio, forse quella più elevata: chi ha subito un trapianto di organi.
In effetti coloro che hanno avuto operazioni di questo genere assumono farmaci potentissimi che di fatto azzerano le loro difese immunitarie, quindi già senza la questione Covid-19 un trapiantato deve porre molta attenzione nella gestione della propria vita sociale per evitare infezioni e subire una quantità innumerevole di controlli.
Ma stranamente di loro si parla pochissimo nello tsunami mediatico che continua a produrre la pandemia. Per questa ragione abbiamo intervistato il Dottor Giuseppe Vanacore, Presidente dell’Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto (ANED). Fondata a Milano nel 1972, da circa 50 anni si batte a fianco dei malati di rene e dei trapiantati per la difesa del loro diritto alle cure e per il riconoscimento di diritti sociali talvolta negati.
Ci può spiegare i motivi per cui è nata l’ANED?
La spinta iniziale era dettata dalla necessità di assicurare a tutti i pazienti un posto in dialisi nella propria regione e il più possibile vicino al luogo di residenza. Le sedute di dialisi erano interminabili, fino a 12 ore. L’alternativa per chi aveva perso la funzionalità renale naturalmente era la morte. ANED nasce come associazione di malati organizzati e su questo principio orienta la propria azione nei confronti delle istituzioni e della medicina. La dialisi salvavita diventa per gli appartenenti ad ANED un presupposto necessario ma non sufficiente, perché è legittimo che alla persona dializzata sia riconosciuto il diritto a una vita il più possibile pienamente integrata nel contesto sociale e nell’attività lavorativa. Infatti, fin dai primordi della fondazione ANED si occupa anche di problemi sociali come la casa e il lavoro ed estende il proprio impegno sostenendo anche le richieste del personale medico e infermieristico, affinché siano poste le condizioni per garantire cure adeguate e, allo stesso tempo, le condizioni per un’umanizzazione del rapporto tra il medico e i pazienti, molti dei quali costretti a cicli di cure che durano l’intera vita.
Immagino facciate anche attività di prevenzione…
ANED si batte al fianco dei nefrologi per la ricerca e sostiene con grande convinzione l’estensione dell’attività di trapianto, che garantisce ai pazienti una vera e propria guarigione con la ripresa della funzione del rene trapiantato. Naturalmente ANED nel corso degli anni impiega molte energie sul versante della prevenzione, perché emerge in modo sempre più chiaro l’esistenza di una diretta correlazione tra la malattia renale e altre patologie, come il diabete e quelle cardiovascolari. Corretti stili di vita e l’attenzione da parte di ciascuno alla salute dei propri reni effettuando banali esami delle urine e del sangue possono aiutare a evitare la malattia o ad allontanare il rischio della dialisi, che diventa invece necessaria quando si giunge all’esaurimento della funzionalità renale.
La problematica del Covid ha investito il mondo in maniera inaspettata e si sono registrati diversi problemi, ultimo dei quali la mancanza di quantità sufficienti di vaccini. Quello che più colpisce dell’Italia è che, soprattutto a livello mediatico, i trapiantati non siano mai stati presi in considerazione come categoria a rischio. Come mai?
La situazione è a tutt’oggi paradossale. Fin dal mese di marzo il Governo ha reiterato dei provvedimenti di tutela delle persone fragili e immunodepresse. Infatti, ha indicato con i vari Dpcm la necessità che pazienti dializzati e trapiantati di tutti gli organi e tessuti non si allontanassero dal proprio domicilio, per evitare il contagio. Inoltre, ha stabilito con una norma di legge che lavoratrici e i lavoratori dializzati o trapiantati potessero assentarsi dal lavoro, equiparando tale assenza al ricovero ospedaliero. Peraltro, per le persone in dialisi la problematica era apparsa subito più complessa perché occorreva garantire la sicurezza sull’intero percorso di cura. Terapia che non riguarda soltanto la dialisi, dato che il paziente deve recarsi in ospedale ove è costretto a rimanerci per quattro ore e per tre giorni alla settimana. ANED ha invocato, infatti, insieme alla Società Italiana di Nefrologia (SIN) specifici protocolli di sicurezza per i pazienti dializzati, affinché il coronavirus non entrasse nelle dialisi e negli ambulatori post-trapianto. Ma così non è stato!
Perché?
Ritardi istituzionali, unitamente alla difficoltà di tenere sotto controllo la pandemia in presenza di una medicina territoriale fortemente indebolita, come in Lombardia, hanno determinato la diffusione del contagio tra dializzati e trapiantati, con esiti più severi e una mortalità quattro volte superiore alla media nazionale. Dunque, è totalmente incomprensibile la scelta di non inserire dializzati e trapiantati già nella prima fase della campagna di vaccinazione rivolta al personale sanitario e agli ultraottantenni. Questa situazione ci ha indotto a lanciare un appello alle istituzioni di governo e altre autorità sanitarie nazionali (ISS, CTS, AIFA e lo stesso commissario Arcuri) affinché sia programmata immediatamente la campagna di vaccinazione – con la disponibilità dei vaccini – di tutte le persone dializzate, in attesa di trapianto e trapiantate di organi o tessuti. La condivisione dell’urgenza è dimostrata dal fatto che in solo 6 giorni abbiamo raccolto e consegnato 15.000 adesioni.
Avete avuto degli incontri con le autorità e cosa avete organizzato per rendere visibile la vostra situazione?
Personalmente ho incontrato il Ministro Speranza nei primi giorni di marzo 2020. Ricordo che aveva un incontro con l’Ambasciatore cinese per il coronavirus e che fummo ricevuti dal capo di gabinetto. Poi abbiamo condiviso molte scelte generali effettuate dal ministero per fronteggiare il contagio. Non abbiamo invece apprezzato il palleggiamento di responsabilità tra le Regioni e il Governo centrale; allo stesso modo non abbiamo condiviso l’atteggiamento rivendicativo da parte delle Regioni su aperture e chiusure. Un modo conflittuale di porsi, risultato quasi sempre infondato se si considera l’estensione del contagio e mosso – a mio parere – dalla preoccupazione di tutelare determinati interessi, piuttosto che la salute delle persone. Abbiamo assistito impotenti alla sottovalutazione da parte di alcune regioni della gravità della situazione, per non parlare di quei medici che – appare ridicolo a pensarci adesso dopo tanti morti della seconda ondata – proclamavano l’evidenza scientifica di un’attenuazione della capacità del visus di replicarsi. In generale, abbiamo avuto occasioni di incontri in tutte le regioni e in diversi casi siamo stati coinvolti nei percorsi istituzionali e soprattutto vi è stato un rapporto costante con la società scientifica della nefrologia (SIN) e con il Centro Nazionale Trapianti.
I trapianti sono proseguiti in questi mesi?
L’andamento dei trapianti è stato monitorato settimanalmente dal CNT e per fortuna l’attività dei centri trapianto non si sono mai fermata. Vi è stata una flessione del numero dei trapianti, com’era inevitabile, ma contenuta al di sotto del 10%. Temevo peggio! Sul versante della trapiantologia quello che ancora non funziona adeguatamente è la capacità del sistema di far fronte alla necessità di aumentare il numero dei donatori e soprattutto di ridurre il numero delle opposizioni da parte dei familiari aventi diritto, tuttora superiore al 30% dei casi. Ciò genera un deficit che andrebbe decisamente affrontato e colmato: organi persi che potrebbero generare nuova vita e felicità per molte centinaia di persone, se non addirittura migliaia.
Cosa pensa di tutta la tristissima vicenda dei vaccini, dove si è visto un vero circo di sparate mediatiche, manovre finanziarie e soprattutto la grande delusione della mancanza di dosi rispetto alle richieste?
Io penso allo straordinario – quasi incredibile – risultato di avere a disposizione a distanza di poco più di un anno dall’inizio di questa epidemia diversi vaccini e tutti che promettono buoni risultati. Certo non sappiamo per quanto tempo garantiranno l’immunità, ma intanto dovremmo goderci questo traguardo scientifico e guardare al futuro con maggiore speranza di poter uscire dall’incubo della malattia. Purtroppo, nessun miracolo si è verificato finora sia versante politico-istituzionale, sia sul versante commerciale. Le logiche geopolitiche tra gli Stati non sono state scalfite dalla presenza del SARS CoV2. La scoperta del vaccino è stata considerata alla pari di qualsiasi altro farmaco, nel percorso di brevettazione, autorizzazione e commercializzazione. Pertanto, la corsa al vaccino dei Paesi più ricchi ha contrassegnato in modo fortemente questa prima fase e solo di fronte alla decisione di Pfizer BioNTech di non garantire le forniture concordate si è scoperto che il vaccino dovrebbe essere considerato un bene pubblico a disposizione di tutte le persone sull’intero pianeta.
Come valuta l’atteggiamento dell’Ue? Si è riscontrata negli altri Paesi che ne fanno parte e a livello centrale una diversa sensibilità rispetto all’Italia?
L’Ue è tuttora un ibrido, perché non è più soltanto uno spazio economico comune, al riparo dai dazi doganali, perché ha una moneta unica e perché vi sono alcuni pilastri comunitari che indicano una possibile direzione di marcia verso una Stato federale. Allo stesso tempo, però, i rapporti nell’ambito Ue sono regolati da Trattati intergovernativi e dalla regola che le decisioni in determinati ambiti debbano avvenire con voto unanime di tutti gli Stati. Tutto ciò inibisce la capacità dell’Ue di esprimere le potenzialità politiche che potrebbe avere, come fattore di stabilità e di progresso per l’intera Europa. Tuttavia, di fronte alla gravità del coronavirus l’Ue ha risposto in modo diverso dal passato. Personalmente ho percepito una timida svolta, che mi auguro possa preludere a un miglioramento dell’assetto comunitario se non addirittura accelerare verso un vero federalismo. Credo però di non sbagliare nell’osservare che l’Ue sui vaccini si gioca la sua integrità, per questo ritengo che adotterà tutte le misure necessarie affinché per tutti gli europei siano disponibili i vaccini senza discriminazioni. Su questo si gioca l’osso del collo!
(Guido Gazzoli)
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