Tra poco inizierà una campagna vaccinale che, per estensione nel tempo e numero di persone coinvolte, non avrà precedenti. Molti italiani si vaccineranno, alcuni convinti e altri meno. Molti altri ancora non si vaccineranno – è nell’aria, non occorre essere profeti – e non si tratta di no-vax. Si tratta di persone dubbiose sulle proprietà e sugli effetti del vaccino, anzi dei vaccini anti-Covid. Cerchiamo di sintetizzare questi dubbi, immaginando se e come si possa fugarli.



Alcuni dubbi sono già argomento di dibattito sui mezzi di comunicazione di massa e riguardano le possibili conseguenze del vaccino sugli individui. Noi ne aggiungeremo uno che va oltre gli effetti sui singoli, ma che riguarda la comunità nel suo complesso. Elenchiamo questi dubbi sperando che in poco tempo gli esperti li cancellino dalla mente degli incerti.



1) Il vaccino elimina veramente il rischio di malattia da quasi ogni persona, oppure è selettivo, ossia ad alcune persone dà immunità certa e ad altre meno?

2) Se il vaccino è efficace contro il rischio di contagio, per quanto tempo chi lo assume resta immune?

3) Siccome il vaccino ha solo temporanee controindicazioni, come dicono le case farmaceutiche, può provocare effetti collaterali nel lungo periodo?

4) Se una persona è già entrata in contatto con il virus e ha quindi sviluppato per proprio conto gli anticorpi, è immune tanto quanto lo sarebbe con l’assunzione di un vaccino, oppure lo è in quantità e modalità diverse? È chiaro che se uno è già immune, è inutile che si vaccini, mentre se l’immunità naturale fosse meno protettiva di un vaccino, potrebbe essere conveniente rinforzarla con un secondo agente. La domanda può essere allora formulata in modo più generale: si sa qual è la relazione tra l’immunità acquisita per vie naturali e quella acquisibile con il vaccino? Se si sa, allora di quanti anticorpi abbiamo bisogno per non ammalarci?



5) Infine, un vaccino vale l’altro oppure hanno capacità di copertura diverse?

Sappiamo che, almeno per ora, le prime quattro domande sono senza risposta o hanno solo risposte parziali. Le stesse case farmaceutiche che hanno prodotto i vaccini mettono le mani avanti dicendo che hanno fatto miracoli creando un antivirus in 11 mesi e che gli esperimenti di validazione in vivo del vaccino sono stati realizzati durante alcuni di questi 11 mesi. Quindi, a nostro giudizio, invece che aspettare passivamente e constatare cosa succede, si dovrebbero anticipare i tempi, impostando studi e indagini conoscitive.

Le autorità sanitarie invitano ad assumere il vaccino affermando che, se ha superato gli standard valutativi delle agenzie preposte ai controlli, è sicuro. Traduciamo il termine “sicuro”: protegge la generalità delle persone anche se non tutte (almeno il 90-95% più del campione di controllo; inoltre, vale la pena ricordare che non viene testato tra i più giovani), non ha effetti collaterali rilevanti se non nei casi che poi esplicitiamo, e in ogni caso conviene, almeno finché le cose non si schiariranno da sole, continuare ad usare le stesse precauzioni che stiamo usando da mesi (mascherina, distanziamento eccetera).

Non ci vuole molto a capire che, se i pochi che – per mestiere – se ne intendono più degli altri non sono in grado di dare risposta alle domande sopra poste, il comune cittadino è tormentato da non pochi dubbi.

Evitiamo di fare discorsi sui miliardi di euro che circolano assieme al vaccino, miliardi che ne aumentano la pericolosità. Cerchiamo solo di esplicitare il senso dei dubbi.

Una buona parte di coloro che hanno assunto il vaccino ha avuto delle reazioni. Tuttavia, un mal di testa passeggero o un leggero malessere sono poco male. I rischi, semmai, riguardano il lungo periodo. Va infatti ricordato che i vaccini che stanno per arrivare sul mercato si basano su princìpi del tutto innovativi: non si tratta della usuale reazione anticorpale dovuta all’inoculazione di una piccola dose di agente di malattia. I nuovi vaccini si basano sul fatto che la reazione del sistema immunitario è, invece, generata da composti anticorpali contenuti nel vaccino che “riconoscono” il virus e gli impediscono di penetrare e moltiplicarsi dentro le nostre cellule.

È un’idea geniale, però siamo certi che il vaccino reagisce allo stesso modo in chi è già entrato in contatto con il virus (e quindi ha propri anticorpi) e in chi no? È certo che valga per ogni variante evolutiva di Covid o ciascun vaccino riconosce solo il proprio? Queste sono cose neppure ventilate nei comunicati inerenti alle rapide sperimentazioni svolte e su cui si dovrebbe soffermare la comunicazione pubblica.

Inoltre, se il vaccino copre dal rischio del virus, perché l’Iss afferma che bisogna comunque mantenere lo stesso livello di attenzione di prima? È chiaro che la risposta sta in quella criptica affermazione che il vaccino è efficace al 90% (poi diventato 95%). Sembra che ciò significhi che, tra coloro che si sono sottoposti all’esperimento vaccinale, quel tot per cento ha avuto meno problemi, o ha avuto problemi meno gravi, rispetto al campione di controllo. Se così è, conviene che il ministero della Salute dica esplicitamente che, quand’anche si assumesse il vaccino, non si è garantiti contro il contagio, ma che è probabile che, in caso di contagio, non si percepiranno sintomi, o che – in piccola percentuale – i sintomi non saranno gravi. Dobbiamo solo sperare che sia così?

In definitiva, lavarsi spesso le mani è un’abitudine da non perdere, così come portare una mascherina potrebbe non essere un’imposizione così pesante. Insomma, la prudenza non è mai troppa. Però, tornare a salutarsi come si deve, viaggiare senza timore su autobus e treni, ritornare nelle aule per imparare come prima, baciare i nipoti senza il cuore in gola, insomma, vivere senza il terrore del contagio dovrebbe essere una conseguenza immediata. Altrimenti, a cosa serve il vaccino?

Correlato a quello dell’efficacia immediata è anche il tema della durata dell’efficacia. Quelli disponibili sono vaccini il cui effetto dura a lungo oppure è a scadenza? È ovvio che la velocità con cui i vaccini sono stati prodotti non permette di fare previsioni di lunga gittata, però qualche messaggio in questa direzione da parte di scienziati credibili potrebbe diminuire il grado d’incertezza.

L’ultimo dubbio è correlato con tutti i precedenti. La malattia Covid ha ormai un anno e forse più di storia (la parte iniziale della storia risale a ben prima di gennaio 2020) ed è iscritta nelle intelligenze di ogni italiano. In questo tempo, quanti tra i quasi 60 milioni di italiani è entrato in contatto con il virus e ha quindi sviluppato per proprio conto gli anticorpi necessari?

A questa domanda avrebbe dovuto rispondere una ricerca condotta durante la primavera del 2020 dal ministero della Salute e dall’Istat. Purtroppo, le cose non sono andate come sperato: alla ricerca collaborò meno della metà del campione. Alla fine, con i Primi risultati dell’indagine di sieroprevalenza sul SARS-CoV-2, l’Istat ha stimato che una percentuale tra il 3,8% e il 6,8% degli italiani aveva nel sangue segni di contatto con il virus. Di solito, purtroppo, le persone più esposte a rischi sanitari sono proprio quelle che meno collaborano alle indagini, ragion per cui non è irrealistico ipotizzare che la vera frequenza sia ben superiore a quella stimata dall’Istat. Per rendersene conto, basta leggere sui social media i commenti di alcuni tra coloro che non hanno voluto collaborare all’indagine. Alla fin della fiera, oggi sappiamo solo come non va fatta una ricerca che si ponga l’obiettivo di stimare quanti italiani hanno gli anticorpi specifici.

Per uscire dall’incertezza informativa conviene aggiungere una sesta domanda a cui pensiamo sia dovuta una risposta: a quanti italiani dovrebbe essere inoculato il vaccino? E in subordine: a chi va inoculato prima perché più a rischio e, all’opposto, a chi non va inoculato?

Per sapere a quanti va inoculato, va fatta un’indagine scientifica che stimi quanti oggi hanno già gli anticorpi del virus e quanti possono ricevere il vaccino senza problemi. Se al 7 maggio 2020, data di chiusura della sopra citata indagine ministero della Salute-Istat, la percentuale di “presunti immuni” era superiore a quel 5,3% (medio) stimato dall’Istat e già indicato come netta sottostima, oggi saremo abbondantemente oltre il 15%, forse oltre il 20%. Se aspettiamo ancora un po’, l’immunità sarà davvero “di gregge”, come sognava qualcuno all’inizio di questa epidemia. In ogni caso, ci sono in Italia tante persone che un antivirus l’hanno già nel sangue.

Inoltre, va ricordato, come fa la stessa casa farmaceutica Pfizer-BionTech, che gli allergici potrebbero avere reazioni non controllabili. Non è chiaro quali allergie debba avere un allergico per tenersi alla larga dal vaccino. Tuttavia, se la Pfizer-BionTech, avendo constatato reazioni avverse, suggerisce – prudentemente – di non somministrare il vaccino agli allergici, in Italia si dovrebbe escludere almeno un 20% di italiani che sono allergici (asma esclusa). Quindi, i vaccini da somministrare dovrebbero essere ancora meno.

I dubbi sono dunque tanti, una piccola selva che le autorità sanitarie, con l’aiuto di scienziati consapevoli, dovrebbero disboscare. È insensato credere che l’arrivo del vaccino abbia risolto i problemi del Covid. Ne risolverà alcuni, ma ne creerà altri, e non solo per la comunicazione pubblica.

Concludiamo il nostro ragionamento con l’ovvio suggerimento di partire con la vaccinazione da chi è più a rischio di gravi conseguenze: gli anziani, in ordine di età dai più vecchi in giù. Un discorso a parte meritano gli anziani presenti nelle Residenze sanitarie assistite. Si tratta di persone non solo soggette ad altissimo rischio di contagio a causa della vita comunitaria, e quindi da vaccinare per prime, ma anche facilmente rintracciabili sia per i richiami, sia per l’osservazione delle reazioni al vaccino anche nel lungo periodo. Diventeranno, loro malgrado, un esperimento in vivo.

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