“Se tutte le procedure di verifica sul vaccino Pfizer-Biontech da parte di Ema e di Aifa saranno completate favorevolmente nelle date previste, l’Italia partirà con le prime vaccinazioni al personale sanitario il 27 dicembre. Noi siamo pronti. Non perderemo neanche un minuto. Ci sono gli hub, la dotazione delle celle frigorifere e il sistema di distribuzione è già pronto a partire”. Domenico Arcuri, il Commissario straordinario all’emergenza Covid, al termine della riunione tra governo e Regioni che ha dato il via libera al piano vaccini, ha fissato il timing del piano vaccini 2021: dopo il Vaccine Day europeo prima della fine dell’anno (e la prima vaccinata in Italia dovrebbe essere un’infermiera dello Spallanzani di Roma), con vaccinazioni simboliche in diversi centri, verrà avviata la prima sessione di massa, quando Pfizer metterà a disposizione 1,8 milioni di dosi destinate a operatori sanitari e sociosanitari, personale operante nei presidi ospedalieri, pubblici e privati, ospiti e personale delle residenze per anziani. Ma saremo davvero pronti tra 10 giorni? E da gennaio governo e Regioni avranno finalmente pianificato tutto quel che serve per gestire una campagna vaccinale di portata storica? Non potendo gestire in prima persona l’intera filiera logistica, l’Italia potrebbe andare incontro a problemi di approvvigionamento delle dosi, come in primavera con la fornitura di mascherine e Dpi? Ne abbiamo parlato con Luca Lanini, professore di Logistica all’Università Cattolica di Piacenza e membro del comitato scientifico del Freight Leaders Council.



Il 27 dicembre si partirà con le prime vaccinazioni simboliche. Il commissario Arcuri ha assicurato che “siamo pronti ad avviare la somministrazione più efficace, efficiente e rapida possibile. In Italia siamo pronti né più né meno come negli altri Paesi”. Il 27 dicembre sarà già l’occasione per verificare se la macchina è davvero pronta?



Il primo giro prevede vaccinazioni al personale medico e infermieristico, quindi non sarà certo una prova del fuoco. Sarà importante sul piano tecnico della vaccinazione, ma non sulla tenuta del sistema.

Dovremo insomma aspettare la prima tranche di Pfizer a inizio gennaio, con l’arrivo di 1,8 milioni di dosi? È un quantitativo che permetterà di testare l’intera filiera e di far emergere le eventuali criticità?

Sì. Distribuire 1,8 milioni di dosi è già un buon modo per capire il flusso, sapendo che Pfizer ha deciso di aumentare del 20-30% le dosi per flacone, e questo è un fatto positivo. Una volta aperto, il box della Pfizer richiede 6 ore per l’intero processo di somministrazione, quindi bisogna aumentare la massa critica di persone da vaccinare.



Cioè?

Quando un box della Pfizer, che misura 2 metri cubi con 975 flaconi contenenti 7 dosi, arriva in un centro vaccinale, bisogna cercare di fare più test possibili, almeno 1.500 al giorno, e non certo 200-300.

A proposito di quantità, il piano vaccini predisposto dal commissario Arcuri prevede oltre 27 milioni di persone che dovrebbero essere vaccinate prima dell’estate, al ritmo di 9 milioni di dosi al mese nel primo trimestre e di quasi 20 milioni, sempre al mese, tra aprile-giugno. Avremo sempre una quantità di dosi sufficienti?

Nove milioni di dosi al mese significano 300mila al giorno, che suddivise per i 1.500 punti di somministrazione portano a una media di 200 vaccinazioni. In buona sostanza, abbiamo creato troppi centri vaccinali per troppo pochi vaccinati. Il rischio che sia il vaccino ad andare verso il cittadino e non il contrario è diventato realtà.

I centri per la vaccinazione saranno dislocati nelle piazze delle città con gazebo a forma di fiore. È una buona soluzione logistica?

Tutt’altro, segue una logica anti-logistica, perché si antepone il “benessere” del cittadino che va a farsi vaccinare sotto una tenda con i fiori a un problema organizzativo e gestionale, che resta invece prioritario. Le piazze sono una mossa dettata dall’estetica, è come voler creare un effetto mini-Expo, una trovata più a misura di turisti.

Il governo ha scelto l’aeroporto di Pratica di Mare come hub per lo stoccaggio dei vaccini. Giusto avere un unico centro di raccolta anche se i vaccini saranno sei?

È una scelta su cui non sono d’accordo.

Perché?

Sarebbe stato forse giusto che fosse unico, ma a quel punto avrei preferito Malpensa perché è un aeroporto del Nord, se l’arrivo dei vaccini fosse avvenuto solo per via aerea. Invece il trasporto aereo assorbirà il 50% dei quantitativi totali, l’altro 50%, quello proveniente dai laboratori, per esempio, di Belgio o Svizzera, entrerà in Italia su gomma, attraverso i camion.

Dove sta il problema?

I vaccini che arriveranno con i camion dal Nord Europa non possono ragionevolmente andare in un hub unico, tanto più al Sud, e poi tornare indietro per la distribuzione locale. È chiaro a tutti che è un errore assoluto, è una scelta totalmente diseconomica dal punto di vista dell’efficienza logistica. A meno che non si pensi a un rifornimento diretto dai paesi europei direttamente al Nord Italia, lasciando a Pratica di Mare il solo rifornimento aereo. Ma non abbiamo sentore di questo. Il concetto di hub unico è dunque sbagliato.

Mancano ancora i piani regionali e si segnalano già le prime forti differenze sul personale medico che verrà schierato dalle Regioni. Nel Lazio, per esempio, 500 medici, nelle Marche solo 5. Può essere un problema in fase di distribuzione e somministrazione?

È sicuramente un problema, perché in questa operazione sarebbe molto utile una regia centralizzata, allo scopo di elevare lo standard delle regioni più in difficoltà. Ma su questo punto vorrei sottolineare una cosa.

Prego.

Mi risulta che ci sono Regioni, come per esempio l’Emilia-Romagna, che ben al di là delle indicazioni che arrivano dal commissario Arcuri stanno pensando all’organizzazione logistica dei centri vaccinali, tenendo conto degli spazi necessari, con una decina di aree separate per la vaccinazione, ciascuna delle quali con i tempi necessari per garantire anche 1.500 vaccinazioni al giorno. Ricordiamo che ogni vaccinazione richiede in media 35 minuti, compreso il tempo di decantazione per l’eventuale insorgenza di effetti collaterali. Avremo cioè un’Italia a due velocità: una bassa, caotica e con troppi centri vaccinali, nelle Regioni in difficoltà, e un’altra alta, efficiente, nelle Regioni più avanzate, che spero imbocchino la strada di eseguire molti più test al giorno.

Viste le difficoltà di reperimento e distribuzione dei vaccini influenzali, quali errori bisogna assolutamente evitare nella campagna anti-Covid?

Occorre innanzitutto evitare il problema delle quantità e della localizzazione dei punti di stoccaggio, problemi già insorti nelle campagne vaccinali tradizionali, che hanno talvolta fatto registrare una carenza di quantità adeguate. Bisognerà dunque lavorare con i fornitori dei vaccini e pianificare il flusso di arrivo e localizzarlo in modo specifico con una programmazione dettagliata. In una parola, ci vuole una pianificazione che tenga conto della discontinuità, perché tale è, degli arrivi, che deve diventare costante al punto di somministrazione.

In concreto cosa significa?

Significa pianificare gli arrivi dei vaccini negli hub, le consegne ai centri di smistamento e la giornata-tipo della vaccinazione, che prevede attese, entrate, tempi di sosta e uscite. Solo così si potranno gestire a monte, come in un sistema di valvole in un impianto idraulico, gli arrivi scarsi o quelli in eccesso, che ci saranno sicuramente, e non a valle. Non si può fare il contrario.

In gergo si chiama clausola “franco fabbrica”, è il mancato controllo del processo logistico per la merce esportata. L’impossibilità di comandare la filiera, come invece faranno altri paesi europei, che possono contare sull’apporto e sul peso dei colossi del settore, quanto può pesare sulla catena logistica dei vaccini?

È dal dopoguerra che l’Italia combatte con questa percentuale del “franco partenza” superiore al “franco arrivo” nell’export. In pratica, quando noi esportiamo due volte su tre lo facciamo tramite un trasportatore estero. E lo stesso accade nell’import su un “franco destino” imposto dal fornitore estero. È un gatto che si morde la coda: noi non gestiamo direttamente la filiera logistica, perché le aziende europee del settore, più grandi e più forti, si “impongono” in entrata, mentre in uscita, con i camion vuoti, si offrono a prezzi vantaggiosi per i nostri esportatori. Il vincolo, dunque, si autoalimenta.

E sui vaccini cosa potrebbe accadere?

È assolutamente comprensibile che, per esempio, Pfizer si muova su “franco destino”, vale a dire che si impegni direttamente, assumendosene la responsabilità, a consegnare nel punto di smistamento stabilito. Avessimo voluto gestire noi il trasporto, sarebbe bastato far arrivare gli aerei a Malpensa, delegando poi il trasporto nel resto d’Italia alle aziende italiane.

Ma potrebbero essere spedizioni con tariffe per i servizi logistici più alte?

Sui costi di trasporto, che sono fissi, parliamo di cifre zerovirgola. Più la merce costa – teniamo conto che il box Pfizer con 975 flaconi vale circa 300mila euro – e meno incidono percentualmente i costi di trasporto. Non mi preoccuperei quindi troppo.

(Marco Biscella)

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