Oggi 4 giugno è il trentunesimo anniversario della fine delle proteste in Piazza Tienanmen, a Pechino, soffocate dall’esercito cinese con l’invio dei carri armati appunto fra il 3 e il 4 giugno 1989. Era il periodo in cui fermenti di libertà e democrazia iniziavano a germogliare in tutto l’immenso blocco comunista, ma la storia della Cina andrà poi diversamente da quella dell’Europa dell’Est e dell’allora Unione Sovietica, dal momento che ancora oggi la Cina è governata dal regime monopartitico comunista – anche se economicamente sono avvenute anche qui trasformazioni enormi.
Torniamo però a quel 1989: già dal mese di aprile erano cominciate le proteste in Piazza Tienanmen, la principale di Pechino, proprio davanti alla Città Proibita. Vi parteciparono studenti, intellettuali e operai e il numero complessivo di vittime (morti, feriti e arrestati) è ancora oggi incerto, perché il governo cinese ancora si rifiuta di ammettere che sia stata usata violenza.
In Cina il solo parlarne è vietato, come dimostrato dalla volontà del governo di imporre il silenzio su Piazza Tienanmen anche a Hong Kong dove, in virtù dello statuto di autonomia, finora erano sempre state concesse le commemorazioni. Vige ancora la censura del Partito Comunista Cinese, che controlla rigidamente ogni evento e iniziativa in ricordo dei fatti di Piazza Tienanmen, anche su Internet e social network.
PIAZZA TIENANMEN: L’INIZIO DELLA PROTESTA E L’ESCALATION
La protesta iniziò in modo molto pacato a metà aprile, in occasione della morte di Hu Yaobang, Segretario generale del Partito Comunista Cinese, che era aperto a possibili riforme. Prese però piede l’ala più intransigente del Partito, guidata dal primo ministro Li Peng, così crebbero le tensioni con gli studenti che manifestavano in Piazza Tienanmen, accusati di “complottare contro lo Stato“. Dal 27 aprile la protesta dunque crebbe e aumentarono anche le richieste dei manifestanti, che arrivarono a chiedere l’introduzione del multipartitismo in Cina.
Tra momenti di tregua e altri di tensione, l’evento più significativo fu la visita a Pechino di Michail Gorbaciov – la prima di un segretario del PCUS in Cina dalla rottura fra i due Stati comunisti, circa 20 anni prima -, visto dai manifestanti come simbolo delle riforme possibili anche in un regime comunista.
Deng Xiaoping impose però il punto di vista dell’ala più dura del Partito e così il 19 maggio fu promulgata la legge marziale – Zhao Ziyang, unico membro del vertice ad opporsi, fu rimosso da ogni incarico e condannato poi agli arresti domiciliari a vita. La situazione rimase “congelata” per circa due settimane, fino a che Deng impose all’esercito di intervenire per “sgomberare” la piazza Tienanmen, senza esitare ad aprire il fuoco contro i resistenti, nonostante le perplessità verso una reazione così dura dimostrate anche dai vertici stessi delle forze armate.
PIAZZA TIENANMEN: LA REPRESSIONE DEL 3-4 GIUGNO E LE CONSEGUENZE
La notte fra il 3 e il 4 giugno 1989 fu dunque quella del massacro in piazza Tienanmen, come detto ancora oggi senza numeri certi. I pochi testimoni occidentali raccontarono di “fuoco indiscriminato” e di un gran numero di morti, alcuni addirittura schiacciati dai carri armati nel loro incedere, che non si fermava davanti a nessuno – non solo in piazza, ma lungo tutto il percorso nel cuore di Pechino.
Piazza Tienanmen era stata così sgomberata, ma la tragedia proseguì anche il 5 giugno: manifestanti superstiti, parenti di feriti e morti, lavoratori e anche abitanti sconvolti dalla repressione tentarono di entrare nella piazza bloccata dai militari, ma vennero fucilati da questi ultimi. I soldati spararono ai civili anche alla schiena, mentre questi stavano scappando. Deng proclamerà “martiri” i militari morti e fallito il tentativo “imperialista” di far “abbandonare agli stati socialisti la via socialista e quindi di portarli sotto il monopolio del capitale internazionale e sulla via capitalista”.
Restano alcune immagini simbolo, come quella del “Rivoltoso Sconosciuto“, rimasto da solo in piedi davanti ai carri armati in marcia nel cuore di Piazza Tienanmen, e movimenti come le ‘Madri di Tienanmen‘, che continuano a chiedere la verità su questa strage della repressione, ma purtroppo dopo 31 anni facciamo ancora i conti con il silenzio imposto dal regime.