Sono passati poco più di 34 anni dalla strage in piazza Tienanmen, a Pechino. I fatti accaduti quel giorno sono, almeno per noi occidentali, piuttosto noti, sia per quanto riguarda i momenti precedenti che l’effettiva strage, ma lo stesso non si può dire per gli esiti. Da quel 1989, infatti, il governo cinese ha reso tabù qualsiasi discussioni pubblica o privata su quanto accaduto quel giorno, evitando di menzionarlo e, forse, anche di pensarlo.



La strage di piazza Tienanmen avvenne, appunto, nel 1989, e fu il culmine di una lunga protesta voluta dagli studenti cinesi e durata per 50 giorni. Una manifestazione del tutto pacifica, ma che si svolse in un luogo considerato ancora oggi il simbolo nazionale cinese perché fu proprio da lì, infatti, che nel 1949 Mao Tse-tung proclamò la Repubblica Popolare Cinese. Quella protesta, però, scosse le autorità e il governo che il 4 giugno decise di schierare i carri armati in piazza Tienanmen aprendo il fuoco contro i manifestanti. Gli impietosi esiti di quel massacro non sono mai stati resi noti ed oggi si stima, nel silenzio totale del governo cinese, che sia morto un numero compreso tra diverse centinaia e diverse migliaia di persone, mentre i feriti furono più di 300mila.



L’ultimo grido da piazza Tienanmen: la voce delle madri delle vittime

Insomma, quanto accaduto in piazza Tienanmen fu un vero e proprio bagno di sangue, del quale a distanza di oltre 30 anni nessuno si è mai assunto la colpa. Per questa ragione, un gruppo di familiari delle vittime si è riunito in un’associazione, chiamata Madri di Tienanmen, che chiede con le sue ultime voci di fare giustizia. Ultime voci perché nel frattempo i parenti delle vittime sono invecchiati, molti hanno superato gli 80 anni ed altri ancora sono morti.

A raccogliere questa richiesta di giustizia su quanto accaduto in piazza Tienanmen è stato l’inserto del Venerdì di Repubblica, che ha intervistato Zhang Xianling, madre 87enne di una vittima 19enne. Ha fondato lei, assieme ad altri, il movimento che chiede giustizia al governo, ottenendo solamente in cambio di essere costantemente controllata dalle forze dell’ordine. “Non capisco”, racconta, “perché le autorità siano così nervose nei nostri confronti“. Una lotta, la sua, che mira a chiedere giustizia per piazza Tienanmen, perché “nessuno dei governi ha mai chiesto di noi e nessuno ha mai pronunciato una parola di scuse, come se il massacro non fosse mai avvenuto. Da 34 anni portiamo avanti le tre richieste di verità, risarcimento e responsabilità in modo pacifico e ragionevole”, ma di contro “la storia del 4 giugno è diventata un argomento proibito. Noi siamo diventati emarginati“.