Pier Alberto Bertazzi è morto: l’annuncio della sua dipartita, avvenuta in seguito a un’intensa lotta contro la malattia, è giunto dal suo amico, Don Julián Carrón, il quale ha pubblicato un messaggio di ricordo, pieno d’affetto, sul sito di “Comunione e Liberazione”. In esso si legge che “il nostro carissimo Pier Alberto è andato a raggiungere don Giussani, che gli è stato padre, avendolo introdotto fin da ragazzo all’esperienza unica del rapporto con Cristo, al quale si è consegnato totalmente, vivendo come memor Domini un’affezione a Lui più potente di qualunque circostanza avversa”.



Affermazioni intense, che testimoniano la potenza del sentimento nei confronti del divino provata da Bertazzi, che, anni fa, sottolineò che rimanere, nel ’68, è stata “una pura questione di affetto, perché c’era qualcosa che ci aveva preceduto che anche in quel momento era più determinante di qualsiasi stimolo e più affascinante di qualsiasi progetto e più consolante di qualsiasi compagnia che veniva proposta in alternativa”.



PIER ALBERTO BERTAZZI: FU LUI A SCEGLIERE IL NOME DI COMUNIONE E LIBERAZIONE

Don Carrón, nel prosieguo del suo intervento, ha evidenziato che a Pier Alberto Bertazzi si deve il nome di “Comunione e Liberazione”. Fu lo stesso Bertazzi a raccontarne la genesi: “Mi venne in mente che noi volevamo parlare di due cose… La liberazione, ovvero l’istanza che condividevamo con tutti, e la comunione, ovvero ciò che secondo la nostra esperienza poteva realizzarla. Comunione/liberazione: le due cose a cui tenere”.

Don Giussani fu conquistato da quella brillante intuizione e la vita di Bertazzi lascia a tutti noi un messaggio ben preciso, riconoscibile in una sua affermazione: “L’inizio di cui partecipiamo è per noi l’origine di una cosa che o è vera oggi oppure non è mai iniziata. Il fatto che quell’inizio sia mio non è il prodotto della lunga carriera che posso avere fatto, anche con qualche incarico e responsabilità; io partecipo di quell’inizio non perché c’ero. Non è questo il motivo per cui quell’inizio è interessante per me; lo è piuttosto se è qualcosa che è vivo ora, anzi, in qualche modo se è qualcosa che nasce oggi per me”. Nel suo ultimo intervento alla Diaconia della Fraternità a La Thuile, nonostante l’aggravarsi della malattia l’avesse molto debilitato, disse: “Io credo che sia fondamentale che noi teniamo conto del metodo che Dio ha seguito nella nostra storia; è come se ci avesse presi come il popolo ebraico. L’indiscutibilità di un metodo rispetto al quale sentirsi pieni, insomma, sentire che non manca niente, sentire che porta sulla strada giusta”.