Un anno e 3 mesi di reclusione, pena sospesa: è quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Brescia a carico di Piercamillo Davigo, a conferma della sentenza di primo grado con un verdetto che dà ragione alla pubblica accusa in merito al reato di rivelazione di segreti d’ufficio nell’inchiesta sulla presunta loggia Ungheria. Lo rende noto Adnkronos, secondo cui la difesa dell’ex componente del Csm ed ex magistrato di Mani Pulite avrebbe già annunciato ricorso in Cassazione: “Sono convinto della sua innocenza”, ha sottolineato il suo avvocato, Davide Steccanella, a margine del secondo grado.
Per l’accusa, Piercamillo Davigo avrebbe ricevuto dal pm Paolo Storari – assolto in via definitiva al termine del processo con rito abbreviato – i verbali segreti di Piero Amara in cui l’ex avvocato esterno di Eni avrebbe svelato l’esistenza della presunta associazione massonica, composta da soggetti di alto livello e insospettabili tra cui magistrati, politici, elementi di spicco delle forze armate, imprenditori, con finalità di condizionare e pilotare le istituzioni. Atti secretati che Davigo, sempre secondo il quadro delineato dall’accusa, avrebbe ricevuto in pieno lockdown.
L’inchiesta e la condanna in appello a carico di Piercamillo Davigo
Stando alla ricostruzione a carico di Piercamillo Davigo, Storari gli avrebbe ceduto materiale secretato dopo essersi recato a casa dell’ex pm di Mani Pulite con l’obiettivo di denunciare una presunta inerzia nelle indagini sull’ipotetica loggia Ungheria di cui avrebbero fatto parte non solo importanti nomi di istituzioni e forze armate, ma almeno due componenti del Csm all’epoca ancora in carica.
Adnkronos ricostruisce che Piercamillo Davigo, ritenendo a lui non opponibile il segreto, avrebbe tantato di forzare contro la presunta inerzia dei vertici per “riportare sui binari della legalità” un procedimento allora non ancora iscritto dalla Procura milanese e, in questo suo intervento, sarebbe andato “oltre” i propri poteri con l’effetto di aumentare “il pericolo di diffusione di un’indagine segreta”. Accuse che la difesa di Davigo, rappresentata dagli avvocati Davide Steccanella e Francesco Borasi, bolla come un “paradosso“: “Se fosse valida l’impostazione accusatoria, Davigo ha violato (il segreto d’ufficio, ndr) non per nuocere a un’indagine, ma per farla partire”. Secondo l’accusa, Davigo avrebbe divulgato le “notizie riservate” con i verbali dell’ex dirigente Amara a una dozzina di persone, attraverso una pendrive, “con accenni – riporta l’agenzia di stampa – talvolta sull’ex consigliere Sebastiano Ardita(parte civile, difeso dall’avvocato Fabio Repici), nominato da Amara in quei verbali“. Ardita, che avrebbe accusato Piercamillo Davigo di aver usato quegli atti per screditarlo, avrebbe ottenuto un risarcimento danni di 20mila euro. “Oggi è stata confermata la colpevolezza del dottor Davigo nell’aver illecitamente divulgato le calunniose dichiarazioni di Piero Amara al fine di screditare il magistrato Sebastiano Ardita, così condizionando il funzionamento del Csm – ha dichiarato all’Adnkronos l’avvocato Repici –. Ora confido che a Milano si accerteranno le ragioni che hanno portato Amara a verbalizzare quelle calunnie e gli interessi che hanno mosso lui e i suoi danti causa“.