Pierfrancesco Favino si è aperto a una lunga autocritica in una recente intervista a Vanity Fair dove ha raccontato anche gli inizi della sua carriera: “Dopo il primo anno di Accademia ero un cane come pochi altri attori al mondo. Ero un cane dannato”. Detto da uno dei più grandi attori del panorama italiano, ora nelle sale con Gli anni più belli di Gabriele Muccino, è sicuramente uno spunto di riflessione importante anche per chi si approccia a questo mestiere con qualche difficoltà di troppo. Tornando sul Favino ragazzo spiega: “Ero molto più fantasioso dei ragazzi del film, più sognatore e meno irrequieto. Da ragazzo mi vedevo con una famiglia legata, solida e grande Era una proiezione consapevole visto che mio padre mi aveva avuto a 46 anni. Il mio progetto era diverso, avrei avuto figli molto prima, perché volevo giocarci”. Descrive però anche i suoi blocchi: “Ero come lobotomizzato, vivevo una sonnolenza apatica. Affogavo la mia noia nello sport, poi ho avuto un’adolescenza tardiva con le mie cavolate”.
Pierfrancesco Favino, lo scontro col padre
Tornando indietro negli anni Pierfrancesco Favino racconta anche degli scontri con il padre per fare l’attore: “Andare in quella direzione era chiaro che avrebbe creato uno scontro. Per i loro figli i miei genitori volevano delle certezze. La laurea trent’anni fa garantiva un lavoro, magari non il lavoro dei tuoi sogni ma che ti desse lo stipendio. Noi la preoccupazione del futuro non sapevamo nemmeno cosa fosse”. Però spiega bene anche le preoccupazioni fondate dei suoi genitori: “Avevano ragione. Era un ambito che non garantiva nulla. Nella mia classe d’accademia eravamo 26 e oggi lavoriamo in 6. Puoi avere il talento, ma non il carattere. Puoi perderti e magari anche avere sfortuna”. C’è una persona però che l’attore vuole ringraziare: “Carla Giro era la mia insegnate d’inglese, grande appassionata di film. Mi fece capire che il cinema non era solo intrattenimento, ma un linguaggio che ti consentiva di dire cosa pensavi della vita”.