COME È MORTO IL BANCHIERE PIERFRANCESCO PACINI BATTAGLIA

Pierfrancesco Pacini Battaglia è morto nella sua casa di Roma: lui, banchiere e finanziere tra i protagonisti del periodo di Tangentopoli, da anni viveva nella Capitale anche se la sua città di origine era Bientina, in provincia di Pisa. A 89 anni però una lunga malattia ha di fatto consumato Pacini Battaglia detto “Chicchi” dagli amici, noto anche come “banchiere un gradino sotto Dio”, la definizione che emerse durante il processo del pool di “Mani Pulite”.



A riportare la notizia della morte di Pacini Battaglia sono state nelle scorse ore il Tirreno e La Nazione di Pisa: i funerali del banchiere si svolgeranno a Roma in forma privata nei prossimi giorni. «Il feretro sarà poi tumulato nella cappella gentilizia della famiglia Pacini Battaglia che si trova nel cimitero comunale di Bientina», ha spiegato Dario Carmassi, sindaco del piccolo paesino pisano dove era originario il noto banchiere toscano. «Non verrà effettuata nessun’altra cerimonia», ha aggiunto ancora il sindaco di Bientina, «nel rispetto della sua riservatezza e delle richieste del figlio Gianluigi». Pacini Battaglia era una persona briosa, conclude Carmassi, «ma con le sue ombre, la sua scomparsa colpisce tutta la nostra comunità. Il nostro comune rimarrà sempre legato alla famiglia Pacini Battaglia, qui Pierfrancesco era nato e aveva sempre vissuto fino al suo trasferimento a Roma ormai diversi anni fa».



PACINI BATTAGLIA: CHI È E PERCHÈ C’ENTRA CON TANGENTOPOLI

Banchiere brillante, nel 1980 Pierfrancesco Pacini Battaglia aveva fondato a Ginevra la “Banque Carfinco” e divenne uno dei più noti finanzieri in ambito italiano ed europeo: il suo nome però venne alla ribalta nelle cronache nazionali nel marzo 1993 all’interno dell’inchiesta del pool di Mani pulite sui fondi neri dell’Eni. Proprio in quel processo venne poi condannato a 6 anni di reclusione con l’accusa di appropriazione indebita.

La condanna divenne definitiva nell’ottobre 2005 quando poi però, finito in carcere, ebbe un infarto appena qualche settimana dopo l’inizio della pena: il Tribunale di Sorveglianza di Firenze all’epoca ancora non aveva esaminato la richiesta di arresti domiciliari presentata per motivi di salute dai difensori in quanto Pacini Battaglia soffriva da anni di malattie cardiache. Ottenne dopo quell’infarto i domiciliari i quali furono scontati di tre anni con l’indulto e la possibilità di accedere a misure alternative alla carcerazione: Pacini Battaglia svolse lavori ai servizi sociali come bibliotecario al comune di Bientina. Nella vicenda di ‘Mani pulite’ Pacini Battaglia era diventata la figura del banchiere “un gradino sotto Dio” anche se lui stesso al processo tenne a far sapere che «da giovane aveva lavorato come operaio in una fabbrica di laterizi». Nel processo Enimont Pacini Battaglia ottenne però la piena assoluzione in Cassazione dall’accusa di corruzione, portata avanti dal pm Antonio Di Pietro nella sua ultima inchiesta prima di uscire dalla magistratura per dedicarsi alla politica: come riporta Stefano Zurlo sul “Giornale” nelle cronache del 2005, «Di Pietro e il Pool avevano ipotizzato una speculazione sulla vendita del pacchetto di azioni Enimont detenuto dalla Montedison. Per questo Pacini Battaglia era stato messo sotto inchiesta per corruzione insieme ad alcune persone», tra cui Craxi, Raoul Gardini e Cagliari. Gli avvocati Alessio Lanzi e Franco Coppi all’epoca riuscirono a dimostrare che il finanziere agì senza dolo.