Piergiorgio Bellocchio è morto all’età di 90 anni. La notizia della dipartita del fratello maggiore del regista Marco Bellocchio è stata confermata ai microfoni dell’agenzia stampa nazionale Adnkronos dal medico di fiducia dello scrittore, critico letterario e intellettuale, il dottor Giorgio Gatti, e dall’amico architetto Romano Maffi. Bellocchio, così, lascia la moglie Marisa, ricoverata in ospedale per la frattura di un femore, e la figlia Letizia.



Nato a Piacenza il 15 dicembre 1931, aveva partecipato recentemente assieme agli altri fratelli (Letizia, Alberto e Maria Luisa) al film “Marx può aspettare” (2021), dedicato proprio alla famiglia Bellocchio. Una grave tragedia segnò la sua esistenza: il 27 dicembre 1968 Camillo Bellocchio, fratello gemello del regista Marco, si tolse la vita, all’età di 29 anni e i fratelli superstiti ripercorrono nel documentario quella tragedia senza filtri o pudori. A livello professionale, sottolinea Adnkronos, “nel 1962 Piergiorgio Bellocchio ha fondato la rivista ‘Quaderni piacentini’ e l’ha diretta fino alla chiusura, nel 1984. Suoi compagni di avventura furono, in particolare, Grazia Cherchi e Goffredo Fofi, che lo affiancarono anche nella direzione del trimestrale che apparve con il sottotitolo ‘a cura dei giovani della sinistra’, come prolungamento dell’attività del circolo ‘Incontri di cultura’ di Piacenza”.



PIERGIORGIO BELLOCCHIO È MORTO: FECE TRE MESI DI CARCERE PERCHÉ…

Non solo, però: Adnkronos rammenta che, nell’arco della sua carriera, Piergiorgio Bellocchio ha collaborato con l’editore Garzanti, scrivendo voci per l’Enciclopedia della letteratura (1972) e per l’Enciclopedia Europea (1976) e prefazioni a Stendhal, Dickens e Casanova. Dal 1977 al 1980 ha diretto a Milano la piccola casa editrice “Gulliver” ed è stato il primo direttore responsabile di “Lotta continua” nel 1969, apparso per la prima volta come organo ufficiale dell’omonima formazione extraparlamentare, non seguendone però l’evoluzione redazionale.



Come direttore del giornale venne denunciato e fece tre mesi di carcere prima di essere scarcerato. Annunciando la sua scarcerazione, un editoriale non firmato sul giornale spiegava che le accuse contro Piergiorgio Bellocchio erano dovute al fatto che avrebbe tradito la corporazione degli iscritti all’Albo dei giornalisti, non avendo controllato chi voleva scrivere sul giornale e nell’essersi, lui intellettuale, immischiato con un’azione politica rivoluzionaria che stampava un giornale che finiva nelle mani di operai e proletari”.