Pierluigi Torregiani, protagonista del film “Ero in guerra, ma non lo sapevo”, è stato un gioielliere milanese ucciso dai Pac. Prima un tentativo di rapina, poi tante minacce e infine l’omicidio, sotto gli occhi dei figli. A raccontare quel terribile periodo è stato proprio uno dei figli, Alberto Torregiani, a “Famiglia Cristiana”:
“In quel periodo erano molto frequenti i sequestri. E mio padre aveva il terrore che potesse capitare a me. Quando uscivo, voleva sempre sapere tutto. Sulle minacce, invece, si era convinto che poteva gestire la cosa da solo e comunque, in ogni caso, gli era chiaro che l’obiettivo sarebbe stato solo lui perché i terroristi agivano così: colpivano i loro obiettivi, non i familiari”. Alberto, rimasto ferito nell’agguato, ha poi raccontato: “Io non andavo quasi mai con lui in negozio, quel giorno l’avevo fatto perché dopo avrei dovuto incontrarmi con un amico che abitava lì vicino. E la scorta lui l’ha aspettata per un po’. Poi se n’è andato perché nella sua mentalità era inconcepibile che qualche cliente aspettasse fuori dal suo negozio: lui alle 15 doveva aprire. Per cui ci ha detto: “Andiamo, la scorta arriverà subito e ci seguirà”. E infatti è arrivata al negozio quaranta secondi dopo che era successo tutto”.
PIETRO TORREGIANI, LA STORIA VERA: NEL FILM…
Nella storia vera di Pierluigi Torregiani, raccontata nel film “Ero in guerra, ma non lo sapevo”, in onda stasera su Rai Uno, emerge nella sua pienezza il reale temperamento dell’uomo, come ha spiegato al “Corriere della Sera” il figlio Alberto: “Sarebbe stato facile fare di mio padre l’innocente con cui tutti solidarizzano da subito. Invece, nel film abbiamo voluto raccontare una verità più ricca e complessa. Mio padre era un po’ impulsivo, a volte forse arrogante, uno a cui non piaceva farsi mettere i piedi in testa. Niente di più. Tutto questo è diventato la sua condanna”.
Un altro aspetto dell’esistenza di Torregiani che forse non tutti conoscono risiede nel fatto che si trattava di un uomo molto attivo in termini di vita pubblica, tanto che era stato insignito addirittura del più prestigioso riconoscimento della città di Milano, il cosiddetto “Ambrogino d’oro“, per mano del sindaco Carlo Tognoli e con la seguente motivazione: “Per l’impegno nel sociale e nella filantropia”. (aggiornamento di Alessandro Nidi)
PIETRO TORREGIANI, LA STORIA VERA: “SI TENEVA TUTTO DENTRO”
L’omicidio Pierluigi Torregiani è la storia vera del film “Ero in guerra ma non lo sapevo”, trasmesso oggi, in prima serata, su Rai Uno. Una vicenda che stimola alla riflessione e che fa comprendere come ci si possa ritrovare vittime inconsapevoli di un destino non voluto, non inseguito. Il gioielliere, infatti, finì nel mirino dei Pac per avere aperto il fuoco in un tentativo di rapina subìto: “Durante quella rapina si è difeso solo perché aveva accanto sua figlia – raccontò in passato ai microfoni del ‘Corriere della Sera’ il figlio, Alberto Torregiani –. Nei giorni seguenti stava soltanto nascondendo a tutti noi la sua paura”.
Pierluigi Torregiani “si teneva tutto dentro: anche la consapevolezza che prima o poi qualcosa gli avrebbero fatto”. Una convinzione divenuta poi realtà nei giorni successivi, quando all’uomo iniziarono ad arrivare minacce – su diversi giornali era stato descritto come un giustiziere – e gli venne assegnata una scorta. (aggiornamento di Alessandro Nidi)
LA STORIA VERA DI PIETRO TORREGIANI DIETRO LA TRAMA DEL FILM “ERO IN GUERRA MA NON LO SAPEVO”
La vera storia di Pierluigi Torregiani è diventata un film, “Ero in guerra ma non lo sapevo“, uscito prima al cinema e oggi in tv su Rai 1. La pellicola racconta i 25 giorni in cui il gioielliere è finito in una sequenza di eventi che lo hanno portato prima a subire una rapina e poi ad essere ucciso per volere di Cesare Battisti. Per oltre quarant’anni si è parlato più degli assassini che dell’uomo che di fatto è vittima di uno dei più gravi omicidi politici nella storia del nostro Paese, ma ora è appunto ricordato dal film. Aveva 42 anni Pierluigi Torregiani quando fu ammazzato fuori dal suo negozio, a Milano. Una cellula dei Proletari armati per il comunismo organizzò l’agguato nel quale fu coinvolto anche il figlio dell’orologiaio e gioielliere, che fu colpito da un proiettile sparato dal padre mentre veniva trucidato dai terroristi. Da allora è su una sedia a rotelle.
Questa complessa storia ha inizio il 22 gennaio 1979, quando il gioielliere era a cena nel ristorante Transatlantico in zona Porta Venezia con la figlia che aveva adottato qualche anno prima, insieme ai due fratelli, dopo aver conosciuto la loro madre, morta per un tumore nell’ospedale in cui lui era stato ricoverato per la stessa malattia. Con sé quella sera aveva una valigetta di gioielli che aveva appena mostrato in una televendita.
CHI ERA PIERLUIGI TORREGIANI? L’OMICIDIO DEL GIOELLIERE
Due banditi entrarono nel ristorante e puntarono la pistola contro la figlia di Pierluigi Torregiani, che però reagì. Scaturì un conflitto a fuoco per il quale persero la vita un cliente e un rapinatore. Così però l’uomo diventò un bersaglio dei Pac, perché alcuni giornali lo identificarono come il “pistolero”, il “giustiziere” e borghese che ribellandosi aveva sparato contro le azioni del proletariato. «Mio padre era un po’ impulsivo, a volte forse arrogante, uno a cui non piaceva farsi mettere i piedi in testa», raccontò poi Alberto Torregiani. Questo lo ha di fatto “condannato” a morte. Ma in quella rapina si era solo difeso perché aveva la figlia vicino a sé. Dunque, è stato ucciso per una strumentalizzazione della sua immagine.
Dopo la rapina gli fu assegnata la scorta, gli fu raccomandato di fare attenzione perché era diventato un bersaglio, eliminato 25 giorni dopo. Il 16 febbraio, infatti, mentre stava aprendo il negozio con i figli, fu vittima dell’agguato. Pierluigi Torregiani tentò una reazione ma fu colpito non appena estrasse la sua pistola, da cui partì un proiettile che colpì il figlio 15enne Alberto alla colonna vertebrale, rendendolo paraplegico. Torregiani fu poi finito con un colpo alla testa, poi i tre terroristi si diedero alla fuga. I Pac rivendicarono l’omicidio di Pierluigi Torregiani, definito «un agente del capitalismo sul territorio». Per il delitto sono stati condannati come esecutori materiali Gabriele Grimaldi e Giuseppe Memeo, e come concorrente Sebastiano Masala. L’ideatore e mandante Cesare Battisti.