È il giorno delle “confessioni” nel grande caos della giustizia italiana: se da un lato alla Commissione Antimafia ha parlato dopo tempo l’ex giudice Luca Palamara (denunciatore del “sistema” di gestione della magistratura ai vertici del Csm), è stato anche scarcerato Piero Amara, l’avvocato protagonista dei processi ex Ilva e Eni-Nigeria. Non solo, per il teste che ha dato il là alla rivelazione della presunta “Loggia Ungheria” (con le intricate conseguenze del Davigo-Storari-gate) è giunto il momento di conoscere alcune delle numerose deposizioni tenute davanti al gip di Potenza Antonello Amodeo in queste settimane che ha passato in carcere.
Entrambi i “protagonisti” degli scandali (o presunti tali) connessi alla giustizia, hanno discusso nei loro rispettivi campi degli intrecci presenti negli anni passati tra Partito Democratico e magistratura italiana: Palamara ha accusato davanti alla Commissione Antimafia le intromissioni di Napolitano e Minniti in alcune nomine del passato, Amara invece fa molto di più. «Ha tirato dentro un centinaio di nomi con elementi circostanziati ma anche con allusioni, accelerate e immediate retromarce», spiega “Repubblica” riportando ampi stralci delle parole di Amara davanti al gip in risposta all’accusa di corruzione in atti giudiziari (avrebbe prima contribuito alla nomina a procuratore di Taranto di Carlo Maria Capristo, per gestire il processo Ilva, di cui era stato nominato consulente. Il “tramite” con il giudice sarebbe stato il poliziotto Filippo Paradiso, anche lui in carcere da qualche settimana).
CHI “GESTIVA” IL CSM (SECONDO PIERO AMARA)
Oltre a continuare a parlare della “Loggia Ungheria” («non è un’associazione segreta, ma piuttosto un’associazione a delinquere finalizzata all’abuso di ufficio»), il “superavvocato” ha fatto mettere a verbale di tutti i rapporti e intrecci che all’epoca v’erano nella magistratura italiana con il Pd targato ancora Matteo Renzi. In merito all “filone” Csm, ecco le principali accuse fornite e scagliate da Piero Amara: tre persone gestivano le nomine di mezza magistratura italiana, spiega il teste indagato, il parlamentare Pd Cosimo Ferri (leader Magistratura Indipendente), l’ex togato Luca Palamara e l’ex Ministro renzianissimo Luca Lotti. «Ora Ermini ha preso un minimo di autonomia, ma fin quando non scoppiavano gli scandali chi decideva il voto dei laici era Luca Lotti. E poi si coordinava insieme a Luca Palamara e a Cosimo Ferri», spiega nel dettaglio Amara davanti ai magistrati di Potenza.
Amara era sodale di Ferri e racconta di un voto particolare, uno dei tanti, avvenuti nel passato per il processo disciplinare contro l’ex pm di Siracusa, Maruzio Musco: «Intervenne Palamara. Bacci (imprenditore vicino a Renzi, ndr) e la Boschi intervengono su Fanfani (ex membro del Csm) (…) E neppure la censura». Sulla procura di Roma, Amara racconta come il gruppo “decisionale” avrebbe scelto il magistrato Viola, «perché così Ielo se ne andava a fare le fotocopie!», attacca ancora l’avvocato interrogato. Su Firenze invece, il “dominus” (sempre secondo gli stralci presentati da Repubblica sull’interrogatorio di Amara) sarebbe stato Lotti: «gli dicevamo,“tu a Firenze ti devi nominare uno che la domenica ti lava la macchina al parcheggio. Non cercare grandi nomi, perché poi non ti rispondono”».