Pierpaolo Contu, esecutore materiale dell’omicidio di Dina Dore, il 26 marzo del 2008 era ancora minorenne. Ad assoldarlo come sicario, secondo quanto stabilito dai giudici della Cassazione, era stato il marito della mamma 37enne di Gavoi, quel Francesco Rocca, dentista rispettabile e conosciuto da tutti in paese, che per liberarsi dell’impiccio della moglie aveva pagato la cospicua somma di 250mila euro. Per mesi, dopo il ritrovamento del corpo di Dina Dore all’interno del bagagliaio della sua Punto rossa, gli inquirenti faticarono a comporre il mosaico di quell’assurdo delitto. Era certo che ad uccidere la donna non fosse stato il marito: il suo alibi reggeva. Ma neanche si riusciva a trovare nel sottobosco dei suoi contatti, nella selva delle inimicizie che può suscitare un uomo come Rocca, politicamente in vista nel paese, un legame con la morte della donna. Poi, la falla nel piano (quasi) perfetto.
PIERPAOLO CONTU, SICARIO DI DINA DORE
A far saltare il banco organizzato da Francesco Rocca fu il colpo di scena che il dentista di Gavoi non avrebbe mai potuto prevedere: Pierpaolo Contu si era tradito, aveva confessato a qualcuno ciò che aveva fatto. E quel qualcuno aveva deciso di parlare, di dire tutto quanto alla polizia. Il sicario si era rivolto a lui e aveva tirato fuori tutta la verità: “Dina Dore l’ho uccisa io, Rocca mi ha pagato 250mila euro per farlo”. Ma evidentemente una confidenza del genere non bastava, servivano altre prove. La sorella della vittima, Graziella Dore, ricevette una lettera nella quale la ricostruzione di Lai veniva confermata per filo e per segno. Gli inquirenti, allora, decidono di ripescare quella formazione pilifera, un pelo o un capello, rinvenuta sullo scotch utilizzato per soffocare la povera Dina. Il DNA non mente: appartiene a Pierpaolo Contu, tutto torna.
PIERPAOLO CONTU, SICARIO DI DINA DORE ASSOLDATO DA FRANCESCO ROCCA
Contu venne condannato a 16 anni in via definitiva, ma negli ultimi mesi ha fatto discutere la concessione di un permesso in una comunità di reinserimento che potrebbe portarlo al regime di semilibertà. Il suo legale, l’avvocato Gian Luigi Mastio, all’ANSA spiegò: “Il mio assistito sta nella comunità di Don Borrotzu a Nuoro. Non avendo mai commesso alcuna infrazione nel suo percorso in carcere, ora abita lì per qualche giorno. Si tratta di una prima misura alternativa dopo un programma di recupero rigoroso”. Il sacerdote ha commentato: “Il giovane sta godendo di un permesso premio come previsto dalla legge: è il secondo beneficio di 3 o 4 giorni di cui sta godendo Pierpaolo, il primo gli è stato concesso qualche mese fa. La misura arriva dopo che il detenuto ha trascorso la metà della pena in condanna: il giovane infatti ha già scontato 8 anni dei 16 a cui è stato condannato. E’ l’avvio di un percorso rieducativo nel quale può incontrare i familiari, usare il telefono e uscire un’ora la mattina in libertà. Più si va avanti, più i progetti diventano lunghi e minori le restrizioni”.