“Dove va a finire la musica, quando non suona?”, domandava molti anni fa, e per sempre, Clarice Lispector, facendo allegramente e soavemente appello a tutti quelli che in ogni tempo sono stati e saranno rapiti dal mistero della musica, che è, definitivamente, se si presta attenzione, il mistero del ritmo, della danza profonda che esiste al centro dell’Essere che genera in eterno le forme dell’esistente.
La vita ha un ritmo. Un ritmo violento, delicatissimo, ancestrale, forse imperscrutabile, e che a volte, solo a volte, diviene udibile. Si scopre con meraviglia la risposta a questa domanda quando, per esempio, si ha la fortuna di poter ascoltare la musica di Mozart eseguita con estrema maestria e padronanza espressiva, personalissimamente, come è avvenuto durante il concerto di Pietro Fresa tenutosi domenica 26 maggio all’interno della Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale, trasmesso in diretta per Rai radio 3.
Pietro Fresa, talentuoso pianista bolognese classe 2000, che per i suoi 24 anni di età vanta già un invidiabilissimo curriculum (solo per citare alcuni meritori traguardi: a dodici anni ha tenuto la sua prima esibizione con orchestra inaugurando, con il Concerto Hob. XVIII/11 in re maggiore di Haydn, l’anno accademico del Conservatorio presso l’Auditorium Manzoni di Bologna, da allora ha iniziato un’intensa attività concertistica sia come solista, sia in formazioni di musica da camera, che l’ha portato a esibirsi in numerose rassegne in Italia e all’estero, condividendo il palco con artisti del calibro del violoncellista Mario Brunello, aggiudicandosi il primo premio assoluto in più di trenta concorsi di esecuzione pianistica), dopo la presentazione del programma che avrebbe eseguito, ha messo le mani sul pianoforte e ha “fatto” accadere la musica, per un’ora intrisa di tensione e di sublime verticalità e “simpatia”, chiamando da sacre lontananze il suono, l’essenza del movimento profondo che in Mozart ha “partorito” una musica estatica e difficilmente eguagliabile per complessità emotiva e per estrema capacità di mettere in scena, vertiginosamente, il supremo “gioco” dell’uomo, il segreto ultimo del “sorriso” come definitiva possibilità di riconciliazione con la vita.
Gli spettatori, in silenzio, hanno osservato le mani del giovane talento musicale che danzavano, estraendo dal piano, con violenza e soavità e leggerezza e sudore e pianto l’ineffabile trama della musica. Chi non avrà mai ascoltato con rapimento un concerto eseguito con tale intensità e perfezione, con totale disponibilità di cuore e mente, non avrà avuto la possibilità di conoscere il segreto del battito del nostro cuore, e dell’accordo che il nostro cuore fa quando si trova al cospetto di tali note, col suono del cosmo e dei pianeti, col canto degli angeli. E non conosce il segreto del silenzio, quello sacro e impronunciabile, che assiste la nascita di quel che precede ogni vita. Saremmo forse amputati degli organi più indispensabili che ci vanno vibrare ed essere vivi, senza le lingue che ci consentono di accedere ai molti mondi che rimangono in ombra. La lingua che più ogni altra consente tale disvelamento è la musica, perché non necessità, in sé, di alcuna traduzione.
Potremmo, certo, anche procedere (come si illudono alcuni tra noi, mortificati dalla cieca obbedienza al mondo e imbarbariti dal troppo pragmatismo) contentandoci di un solo piano di realtà, quello in cui accadono i fatti evidenti, dimostrabili, incontrovertibili dell’esistenza. Ma sarebbe una perdita e un tradimento verso tutti quei mondi ove si spiega gran parte, la parte più importante, del nostro stare sulla terra. È con la musica, con l’arte, con la poesia, con tutte le lingue che abbracciano l’ombra di quei mondi che noi possiamo spostare il sipario e guardare dietro la trama dell’arazzo. Perché esistono le parole e le azioni, ma esiste anche il silenzio, fitto, che viene prima delle parole e delle azioni. E, in quel silenzio, la folta schiera dei presagi, qualcuno o qualcosa da lassù che forse guarda, l’esercito di spettri che vive nel giorno, l’eco delle vite perdute, il lampo che continua a emergere dal fondo, le promesse dei pomeriggi d’infanzia, la morte e i suoi annunci che niente aiuta a decifrare più del miracolo, la sfera infinita dei miracoli e dei sogni.
Esistono, in quel silenzio, i fantasmi che popolano le stanze, le cose gravi, i gravi distacchi, le gravi perdite che ci riguardano, gli amori e le amicizie non spiegabili, le fantasie inconfessabili, gli altri tempi accolti dal tempo solo nostro, le creature divine che ci corrono affianco, le visioni ereditate dai racconti e dai miti, i miti di altri uomini che nascono oggi. Lì avviene il nostro domandare, in quello spazio che continua a sfuggire avviene il nostro doloroso ininterrotto incedere verso il nostro forse destino o forse niente.
È dalle mani delicate, potenti, obbedienti per anni a una ferrea disciplina, che nasce la musica; in altri termini: è dal cuore e dalla passione degli uomini chiamati a onorare la Maestà attraverso la musica, e servendo la Musica, che nasce la musica stessa. Per questo val la pena di ringraziare, lacrimando, perché senz’altro si sarà riusciti a strappare qualche indizio al segreto infinito del Mistero entro cui ci troviamo a vivere, finché siamo qui, e, forse, anche oltre.
Auguriamo al Maestro Fresa, dunque, la più feconda e ricca carriera all’interno della scena musicale e concertistica italiana e internazionale, e che mantenga intatti quel cuore e quell’allegria che tanto hanno regalato e regalano a chi ha la fortuna di ascoltarlo, ove che sia, nel mondo.
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