Natalino Mele, l’unico sopravvissuto al Mostro di Firenze, è convinto che non sia Pietro Pacciani. Quando nel 1968 sua madre Barbara Locci e l’amante Antonino Lo Bianco furono uccisi aveva solo sei anni. Si svegliò in macchina, dove stava dormendo, per i colpi di pistola. Il padre fu incolpato e messo in carcere, mentre per lui cominciò ad essere sballottolato tra orfanotrofi e collegi. Oggi ha 58 anni e vive al limite dell’indigenza, dimenticato da tutti. Nell’intervista a Libero spiega di voler conoscere la verità su quell’omicidio che lo ha reso orfano. «Di quella sera ricordo pochissimo, può ben immaginare che sono passati cinquantadue anni…». Si dice che l’omicida lo portò sulle spalle fino ad una casa illuminata cantandogli la canzone “Tramontana”. «Ricordo che furono gli spari a svegliarmi e che vidi mia mamma in un pozzo di sangue. Questa immagine fa parte degli incubi che ho ancora oggi», racconta Natalino Mele a Giovanni Terzi. Poi ricorda una luce in fondo ad una strada. Cercava di raggiungerla, ma non sa se fosse solo o con l’omicida. «Mi ricordo che poi furono gentili con me le persone che mi accolsero».



NATALINO MELE E IL COLLOQUIO COL PADRE

Dell’omicidio della madre e del suo amante fu accusato il padre Stefano Mele. Si parlò di un delitto scaturito dalla gelosia. Ma Natalino Mele è convinto che non ne fosse responsabile, anche perché quando ci furono gli omicidi successivi del Mostro di Firenze lui era in carcere. E Libero riporta anche il colloquio in cui da bambino parlò col padre in carcere. «Babbo, non devi aver paura. Io quella notte non ti ho visto. Non ho visto nessuno. Se io avessi visto il mostro, da tempo mi avrebbe fatto fuori». E il padre gli rispose: «Non potevi avermi visto, perché io non c’ero». Per Natalino era inspiegabile allora la confessione del padre: «Io ero il marito. I carabinieri, i tuoi zii, tutti in paese erano convinti che ero stato io a uccidere la mamma. Negli interrogatori mi hanno picchiato. Alla fine riescono sempre a farti dire quello che vogliono». L’uomo parlò poi del giudice Rotella, per il quale avrebbe accusato gli zii Giovanni e Pietro. «Mi ha fatto confondere. Anche quest’ultima volta che mi ha tenuto in galera, ha tentato di farmi dire altre cose. Per convincermi a parlare, mi ha detto che tu eri morto. Che il tuo cadavere era stato trovato nei boschi».



“PIETRO PACCIANI NON È IL MOSTRO DI FIRENZE”

Dopo l’omicidio della madre, per Natale Mele sono stati anni durissimi. «Quando mi facevano gli interrogatori cercavano di intimorirmi anche attraverso piccole violenze. Cercavano di bruciarmi i polpastrelli delle dita con l’accendino», racconta oggi a Libero. E spiega che forse volevano fargli dire che era il padre l’assassino. Ora sul Mostro di Firenze ha le idee chiare: «Io credo che Pacciani ed i suoi “compagni di merende” non siano i colpevoli ma, al massimo, dei comprimari». Ne è convinto in quanto ritiene che il serial killer fosse una persona colta con conoscenze anatomiche e una mira incredibile. «Pensi che sparò al buio a quel giovane che cercava di scappare dalla macchina». Inoltre, non ritiene credibile che Pacciani abbia seppellito nel proprio giardino i bossoli dell’arma usata. «Io ho sempre pensato che ci fosse qualcuno molto vicino agli inquirenti. Qualcuno colto e capace di cambiare le carte in tavola».

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