STRAGI MAFIA 1993 A ROMA, LA MINACCIA ALLA CHIESA DI PAPA WOJTYLA

«Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio»: queste parole tonanti dette da Papa Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993 ad Agrigento avrebbero provocato una durissima “replica” di Cosa Nostra nelle Stragi di mafia del 1993 a Roma. Lo dice oggi in un editoriale su “La Repubblica” Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma e Presidente del Tribunale in Vaticano: «le bombe romane erano anche una sfida alla Chiesa e alla sua capacità di orientare la cultura antimafia del Paese».



Il 27-28 luglio 1993, esattamente 30 anni fa, Cosa Nostra faceva esplodere 3 autobombe: la prima in via Palestro a Milano e due a Roma, davanti le chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro. Quelli attentati, assieme a quello davanti agli Uffizi di Firenze di due mesi prima, vengono definite le “Stragi del 1993” con le quali la mafia corleonese di Totò Riina e Bernardo Provenzano proseguì la strategia terroristica di sfida allo Stato culminata solo un anno prima con le stragi di Capaci e Via d’Amelio contro i giudici Falcone e Borsellino.



PIGNATONE: “OSSESSIONE DI TOTÒ RIINA PER LE PAROLE DEL PAPA CONTRO I MAFIOSI”

Secondo Pignatone, vi era una vera e propria ossessione nel “capo dei capi” di Cosa Nostra, Riina, contro la cultura antimafia che la Chiesa seppe esercitare nel pieno della strategia del terrore in Sicilia: da Don Pino Puglisi a Rosario Livatino fino alle parole tonanti del Santo Padre Karol Wojtyla con le quali venne lanciato un giudizio chiaro e netto alla mafia e al malaffare. «Dopo tanti tempi di sofferenze avete finalmente un diritto a vivere nella pace. E questi che sono colpevoli di disturbare questa pace, questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!», esclamava a braccio San Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi 30 anni fa. «Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita», concluse il Pontefice polacco, «non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!».



Furono proprio queste parole, secondo il procuratore Pignatone, ad aver “acceso” la volontà di rivendicazione e minaccia della mafia contro la Chiesa e i semplici cittadini: «il Papa fa antimafia», disse Riina attaccando il Santo Padre che pronuncio quelle parole ad Agrigento in quanto particolarmente colpito dall’incontro avuto poche ore prima con i genitori del giudice Rosario Livatino (ucciso da Cosa Nostra nel 1990). «Le bombe a San Giovanni in Laterano (“cuore della Roma cristiana”, come disse il cardinale Camillo Ruini) e a San Giorgio al Velabro, seguite a breve dall’omicidio di don Pino Puglisi (15 settembre 1993), rappresentarono allo stesso tempo una “punizione” e una intimidazione a tutta la Chiesa, oltre che la violenta reazione all’intervento del Papa», scrive il presidente dl Tribunale della Santa Sede. «Nel passato, la Chiesa era considerata sacra, intoccabile. Ora invece Cosa nostra sta attaccando anche la Chiesa perché si sta esprimendo contro la mafia. È un messaggio chiaro ai sacerdoti: non interferite»: a dirlo è un collaboratore di giustizia come Francesco Marino Mannoia e non fu certo l’unico. Lo stesso Totò Riina, intercettato in carcere nel settembre 2013, si rivolgeva con queste parole al Santo Padre Wojtyla: «Ma che mi pento! Ma pentiti tu! Perché vai facendo questi comizi? Perché sei venuto ad Agrigento? […] Ha detto ‘pentitevi! Verrà il giudizio di Dio sull’uomo’ […] Invece di fare il Papa, faceva l’antimafia pure lui! […] il Papa si deve fare i fatti suoi, si deve interessare dell’anima, dello spirito […] e quello si va a interessare alla mafia […] Non sei un Papa, tu sei un disgraziato, tu sei un prepotente, uno scellerato».