Nell’ultimo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica pubblicato dalla Corte dei conti settimana scorsa si possono trovare molti elementi interessanti sia sulla politica fiscale che sulla spesa pubblica anche alla luce del Piano nazionale di ripresa e resilienza. In particolare, nell’ambito di un “disegno di riforma della riscossione coattiva” e della “revisione delle procedure”, per quanto riguarda la “posizione del creditore pubblico”, il rapporto suggerisce il “pignoramento anche sull’abitazione principale” prevedendo che “la vendita coattiva immobiliare possa avvenire anche se il valore dei beni risulti inferiore a 120.000 euro”. Inoltre, il rapporto suggerisce anche che “in materia di pignoramento mobiliare occorrerebbe introdurre una presunzione di legge rafforzata sulla proprietà dei beni mobili che si trovano presso l’abitazione di residenza del debitore”.



Sempre nello stesso rapporto si legge che “il pacchetto di agevolazioni legate al possesso di immobili ha un chiaro profilo regressivo visto che la stessa abitazione principale è realmente diffusa solo tra i contribuenti più agiati”. La frase segue un’analisi che dimostra come i bonus ristrutturazioni, inclusi quelli per il risparmio energetico, siano usati meno che proporzionalmente della media nella metà più povera della popolazione.



Il “creditore pubblico”, si suppone, è un’amministrazione pubblica a cui non sono state versate tasse e contributi e il debitore può essere chiunque, ma nella realtà in questa posizione non si ritrovano con la stessa probabilità e soprattutto con lo stesso importo tutti i percettori di reddito. È chiaro che alcuni occupati sono esposti a questo rischio molto di più che altri. La pandemia con le chiusure e le restrizioni imposte su molte attività ha causato debitori pubblici molto più frequenti in certe categorie che in altre perché in molti casi le “pretese del fisco”, giuste o sbagliate che siano, sono rimaste anche in assenza di reddito o con redditi falcidiati.



L’abitazione principale definita come un possesso “realmente diffuso solo tra i contribuenti più agiati” rischia di diffondere l’idea che sia una sorta di lusso e non, in qualche modo, una possibilità che dovrebbe poter essere colta da tutti i lavoratori e da tutte le famiglie in un’economia che funziona. Questo suggerimento avviene in una fase in cui i prezzi delle case sono artificialmente tenuti in alto da tassi bassi e inferiori all’inflazione mentre in alcune delle principali città italiane si assiste a un fenomeno senza precedenti di investitori istituzionali che comprano immobili a uso residenziale da mettere in affitto; un’area di investimento sempre più interessante per gli operatori finanziari che devono trovare impieghi in un mondo di obbligazioni statali e societarie dai rendimenti nulli o quasi. 

Segnaliamo che l’immobile residenziale, in Italia, non è mai stato un investimento da operatore finanziario proprio per le protezioni che la legge dava agli affittuari e per la lentezza degli sfratti e dei pignoramenti. 

La questione, anche questa volta, è tutta politica: cosa succede se il creditore pubblico può far pignorare l’abitazione principale in un “quadro” in cui il suo possesso è ritenuto realmente diffuso solo tra i “contribuenti più agiati”. La “legge” varrebbe per tutti, ma nella pratica i suoi effetti sarebbero del tutto asimmetrici anche perché asimmetrici sono stati gli effetti della pandemia sui lavoratori. 

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