Il Pil italiano, nel terzo trimestre dell’anno, è cresciuto dello 0,1% rispetto al trimestre precedente. Lo ha comunicato ieri l’Istat con la sua stima preliminare da cui risulta un aumento tendenziale dello 0,3% e una variazione acquisita per il 2019 pari a +0,2%. Dati che «sono leggermente meglio del previsto. C’è sicuramente un elemento di soddisfazione che se ne può trarre», ci dice Marco Fortis, Vicepresidente della Fondazione Edison.
Quale?
Secondo quanto riporta l’Istat, c’è stato un lieve aumento del valore aggiunto nel comparto dell’industria. Questo vuol dire che non stiamo subendo ancora l’impatto sul nostro indotto metalmeccanico della crisi tedesca, altrimenti non si spiegherebbe questa tenuta della nostra industria rispetto a quella teutonica. C’è anche da dire che, a meno di un crollo nell’ultimo trimestre, il dato sulla variazione acquisita lasciare sperare in una chiusura dell’anno con il segno più e non molto distante dalle stime del Governo (+0,1%). Purtroppo i dati occupazionali (disoccupazione al 9,9% a settembre) sono a mio avviso estremamente deprimenti, ma non si potrebbe sperare di più con una crescita stagnante.
A proposito del legame tra Italia e Germania, questi dati sono arrivati proprio nel giorno di chiusura del vertice bilaterale tra Confindustria e Bdi, il cui Presidente Dieter Kempf è tornato a criticare il Governo tedesco per lo scarso apporto all’industria e la scarsa attenzione alla crescita…
I tedeschi rischiano di scoprire l’acqua calda. Hanno seguito per anni una politica economica basata unicamente sull’export, con una scarsa attenzione agli investimenti infrastrutturali, tecnologici, per contenere deficit e debito pubblico. Ma a cosa serve portare il debito/Pil al 60% come fa la Germania se l’economia poi si ferma? Ormai la crescita tedesca è persino più bassa di quella italiana. Intanto gli Stati Uniti supereranno il 110% nel debito/Pil nel 2021, ma continuano ad avere una crescita che sembra indifferente ai problemi dell’economia mondiale e una tripla A dalle agenzie di rating. Questo significa una sola cosa.
Ovvero?
Che i mercati non guardano solo il rapporto debito/Pil, mentre l’Europa, con le sue regole, di fatto si autodeclassa di fronte ai mercati. Se i tedeschi ragionassero, se i loro falchi si radunassero per capire se stanno portando il Paese nella direzione giusta o meno, si accorgerebbero che la Germania potrebbe avere tranquillamente un debito/Pil all’80% e fare investimenti per il 20% del Pil, dando lavoro anche a imprese italiane, spagnole, francesi, ecc. A Berlino dovrebbero capire che se vuoi fare la locomotiva, la devi fare sul serio.
Come può l’Italia essere messa sullo stesso piano degli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti hanno una grande ricchezza finanziaria, una solidità enorme. Che ha anche l’Italia, che può contare anche su una bilancia commerciale in attivo, su una manifattura forte, un avanzo primario dal 1992. La Germania deve capire che l’Italia non merita un’attenzione sul debito/Pil che la condanni agli occhi del mondo e dell’Europa. Nel momento in cui non ci fosse più il dogma del raggiungimento del 60% del debito/Pil, che il Fiscal compact si potesse buttare via, visto che i nostri competitors (Usa, Giappone, Cina, ecc.) non se lo sognano nemmeno, le cose cambierebbero.
Se l’Europa ha scelto di dotarsi del Fiscal compact ci sarà un motivo…
L’Europa se l’è dato per che cosa? Perché non ci sia un’altra Grecia? Ma in gran parte la crisi greca l’ha fatta scoppiare l’Europa stessa. Ci siamo inchiodati su una cosa infinitesimale rispetto alla crisi finanziaria che hanno avuto gli Usa. L’Italia, con la sua situazione di instabilità politica, è condannata perennemente a pressioni immeritate sullo spread. Certo, anche noi ci mettiamo del nostro, come si è visto negli ultimi dodici mesi, quando sono state usate ingenti risorse per provvedimenti assistenziali, mentre andavano usati per la crescita. Purtroppo le regole europee, insieme alle nostre insipienze, ci portano in un cul-de-sac.
Pensa che la manovra potrà aiutare le imprese? È vero che c’è la conferma di Industria 4.0, ma ci sono anche delle cosiddette micro-tasse che rischiano di colpire determinati settori.
Come ho già detto, questa è una manovra che aveva come obiettivo principale evitare un maxi-aumento di tasse. Quindi dopo aver schivato la caduta in un burrone non ci si può preoccupare troppo se nel frenare ci si è scorticati un po’ le ginocchia o si è presa una sorta alla caviglia. Io sono contrario alle micro-tasse, anche perché raccolgono poco, ma danno dei messaggi estremamente negativi. Purtroppo sono state introdotte anche per mantenere la coerenza su alcuni provvedimenti già presi, come Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Spero che alcune vengano evitate all’ultimo. Non è comunque la fine del mondo, quella vera ci sarebbe stata con l’aumento dell’Iva. Purtroppo le clausole di salvaguardia esistono perché siamo ingabbiati nel Fiscal compact. Il vero problema non è quindi eliminare le clausole di salvaguardia, ma il Fiscal compact.
Dalle sue parole sul Fiscal compact sembra quasi che non ci si debba preoccupare di aumentare il debito pubblico…
Non sto dicendo che bisogna fare debito all’impazzata, ma che se si usa il rapporto debito/Pil come indicatore chiave, occorre permettere al Pil di crescere. Altrimenti è un indicatore che solamente l’Eurozona si dà di fronte ai suoi competitor ed è come se partecipasse a una maratona con le gambe legate. Di fatto è quel che sta frenando i due motori manifatturieri dell’Europa: la Germania e l’Italia.
Italia e Germania pagano anche la frenata del settore auto. A questo proposito cosa pensa della fusione tra Fca e Psa?
Chiaramente risponde alle tendenze inevitabili per questi gruppi che devono avere masse critiche sulle auto prodotte, sulle economie di scale, sulle piattaforme produttive, ecc. Forse sarebbe stata meglio la fusione con Renault, ma anche con questa si fa comunque un passo avanti nella direzione che tutti indicano come necessaria. Ci sono sicuramente elementi positivi, ma bisognerà attendere i dettagli della fusione per vedere quali saranno tutti gli impatti locali. Occorre infatti capire meglio quali saranno le conseguenze sugli stabilimenti, sull’occupazione, ecc., che si spera non diventino criticità.
(Lorenzo Torrisi)