Dall’Istat è arrivata una doccia fredda sulle speranze di ripresa dell’economia italiana. Si stima infatti che nell’ultimo trimestre del 2019 ci si stata una decrescita dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e una variazione nulla in termini tendenziali. Il 2019, quindi, si chiuderebbe con una crescita del Pil dello 0,2%, mentre la variazione acquisita per il 2020 sarebbe pari al -0,2%. Numeri che dovranno portare il Governo ad agire dopo le elezioni regionali e il vertice di maggioranza, considerando anche l’incognita degli effetti del coronavirus sull’economia. “La diminuzione dello spread di questi giorni ci dà un po’ di sollievo, ma il tendenziale per il 2020 non è particolarmente favorevole, mi sembra che sarà veramente difficile riuscire a sfondare la soglia dello 0,5%. C’è un lievissimo margine di spazio, legato ai bassi tassi di interesse, per una politica che sia propulsiva della crescita nell’ambito delle regole”, ci dice Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano.



A che cosa pensa in particolare?

Prima di tutto c’è il fondo europeo per la transizione energetica cui il nostro Paese dovrebbe essere tra i più interessati. Credo anche che dovremmo darci quanto meno l’obiettivo di smettere di essere gli ultimi quanto a crescita in Europa. Per questo occorre guardare primariamente alle disuguaglianze territoriali, perché se noi avessimo in tutto il Paese la crescita che c’è al Nord, sicuramente le cose andrebbero meglio.



Bisognerebbe aiutare il Sud a recuperare terreno?

Recuperare il gap di produttività e produzione è impossibile nel breve periodo. Quando si parla di economia e di politica economica si considerano le questioni di ordine pubblico come qualcosa di estraneo. Ma il problema è che in un pezzo del Paese lo Stato è debole. La libertà d’impresa in molte aree del Sud è negata. E quindi anche se ci fossero delle spinte imprenditoriali, queste sarebbero già limitate in partenza.

Cosa bisogna fare allora?

Occorre che all’interno della politica economica venga riconosciuta l’importanza centrale di un caposaldo di qualunque sistema sociale e civile: la libertà, in questo caso d’impresa. Ovviamente questo non risolve un problema quasi secolare, ma ci si comincia a muovere in una direzione giusta. Il Sud vive purtroppo in una situazione paradossale: non solo la produzione e i redditi sono più bassi, ma la disuguaglianza è maggiore rispetto al Nord.



Dunque è su questo che ci si dovrebbe concentrare con quel margine a disposizione di cui ha parlato prima?

Certo. Non si può fare vera politica economica quando la criminalità organizzata è la normalità. La nostra politica economica è per forza diversa da quella di altri Paesi europei, perché lì il clima di libertà d’impresa è completamente diverso. Fintanto che le funzioni dello Stato sono garantite al Centro-Nord, ma non al Sud, non si può sperare che sia una mano invisibile del mercato a intervenire e a risolvere i problemi. Purtroppo ad agire è la mano della criminalità organizzata. Se un pezzo così importante del Paese è in queste condizioni non faremo mai veri passi avanti.

Facciamo noi un passo indietro. Lei ha parlato dell’importanza per l’Italia del fondo Ue per la transizione. La viceministra dell’Economia Castelli ha detto che bisognerà dare battaglia perché non è detto che l’assegnazione delle risorse “sia come noi la immaginiamo”…

Io credo che non dovremmo avere grandi difficoltà a giocare le nostre carte, a partire dal ministro dell’Economia Gualtieri, che ben conosce Bruxelles. Capisco che si entra in un discorso che è a cavallo tra l’economia e la politica, ma le opere che possono essere avviate con questi fondi rappresentano lavoro, cosa più utile ed efficace dell’assistenza. Il nostro Mezzogiorno è come se fosse un Paese che continua ad arretrare anziché avanzare. Se a Bruxelles non capiscono che questa situazione può essere dirompente per l’Europa intera, credo che bisognerà dar loro qualche lezione di politica, non solo di economia.

(Lorenzo Torrisi)