L’Istat ha diffuso ieri la stima preliminare relativa al Pil del secondo trimestre, che ha fatto segnare un -0,3% rispetto al trimestre precedente e un aumento dello 0,6% su base annua. Nel breve comunicato stampa, l’Istituto nazionale di statistica spiega che “la variazione congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca sia in quello dell’industria, mentre il valore aggiunto dei servizi ha registrato un lieve aumento.
Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto nullo della componente estera netta”. Alla fine del secondo trimestre, la crescita acquisita per il 2023 è pari allo 0,8%. Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, l’elemento saliente della stima preliminare è rappresentato dalla «flessione congiunturale che è andata oltre le aspettative, orientate verso una crescita zero».
Cosa può aver determinato questa diminuzione del Pil?
Non ci sono molte altre informazioni rispetto a quelle sintetiche riportate nel comunicato dell’Istat. Sicuramente ha inciso maggiormente la flessione della domanda interna, dovuta probabilmente sia a un calo del consumi delle famiglie che degli investimenti. È evidente, del resto, che, una volta esaurita la spinta dei superbonus, gli investimenti in edilizia non potevano proseguire ai livelli precedenti. Inoltre, nonostante l’indice generale stia calando, sembra permanere un’inflazione legata ai prezzi alimentari e di altri beni di consumo che induce le famiglie a una frenata nei consumi.
L’Istat conferma anche un rallentamento dell’industria…
Il contesto europeo, con una Germania che resta inchiodata alla recessione, vista la crescita zero nel secondo trimestre, e una Francia altrettanto ferma visto che il +0,5% del secondo trimestre è dovuto sostanzialmente a una commessa della cantieristica navale che ha spinto l’export, mentre i consumi delle famiglie sono calati dello 0,4%, non aiuta la nostra manifattura che non potrà evidentemente fornire un grande contributo al Pil quest’anno. Fortunatamente abbiamo un apporto importante che ci verrà dal turismo nei mesi estivi. Non drammatizzerei comunque la situazione: il dato del secondo trimestre segnala che si stanno esaurendo quegli elementi inerziali, di propulsione, ereditati dalla super-ripresa del 2021-22.
Quale impatto può aver avuto il rialzo dei tassi da parte della Bce sul rallentamento della domanda interna?
Certamente non rappresenta un elemento favorevole, nel momento in cui ci sono altre problematiche che stanno emergendo, il fatto che sullo sfondo ci sia anche un regime di tassi che sono stati aumentati in tempi molto rapidi. L’obiettivo della Bce è fermare l’inflazione, ma mi sembra che il calo dell’indice dei prezzi sia dovuto più alla diminuzione di quelli energetici che non all’azione di Francoforte. La Bce ha rallentato più l’economia che non l’inflazione.
La frenata nel secondo trimestre rischia di compromettere la crescita del Pil per l’interno anno che era stata prevista nelle scorse settimane?
Dalla fine del primo e a quella del secondo trimestre la crescita acquisita è passata da +0,9% a +0,8%, quindi non c’è alcuna zavorra che impedisca di arrivare ai target annuali indicati nelle scorse settimane superiori al +1%. Lo scenario non si è, pertanto, molto modificato. Stiamo attraversando una fase di assestamento importante dovuto a due ragioni: la fine dei superbonus edilizi; la frenata dell’economia europea che non dà ancora segnali di ripartenza, a causa soprattutto della crisi tedesca. Si tratta ora di accompagnare il terzo e quarto trimestre verso una pronta ripresa, come avvenuto del resto tra l’ultimo trimestre del 2022 (-0,1%) e il primo del 2023 (+0,6%).
Cosa dovrebbe fare il Governo in tal senso?
Sarebbe molto utile dare qualche certezza sui tempi di attuazione del Pnrr, in modo da poter beneficiare di un qualche effetto di ripresa nella seconda parte dell’anno e in parte compensare l’effetto della fine dei superbonus edilizi. Occorre, poi, dare delle certezze sui piani d’investimento delle imprese, che devono fare i conti anche con il rialzo dei tassi. Bisognerebbe, inoltre, aprire una riflessione sul piano Industria 4.0, il cui esaurimento ha portato alla fine di un ciclo di grande aumento degli investimenti che ha contribuito alla crescita del Pil e della nostra competitività. Ritengo vada trovata una formula per dare qualche messaggio alle imprese per evitare che ci sia un affievolimento eccessivo di questa spinta. È arrivato il momento che la politica economica del Governo Meloni cammini sulle proprie gambe e dia qualche risposta in termini di sostegno della domanda interna, che in questo momento è colpita sia dall’inflazione che dal rallentamento del ciclo degli investimenti.
Bisognerà, quindi, pensare anche a dei sostegni per i consumi delle famiglie: andrà ampliato il taglio del cuneo fiscale?
Per l’Esecutivo si avvicina la prima vera e propria manovra finanziaria in totale autonomia, che potrebbe comprendere, visto il percorso già compiuto in tal senso, una prosecuzione degli interventi di alleggerimento del cuneo fiscale. È molto importante, però, che nel mettere a punto misure di sostegno alla domanda interna e di messa a terra del Pnrr vi sia un disegno organico che consenta di non perdere quell’abbrivio che siamo riusciti a creare in questi anni. Penso, soprattutto, a una ripresa di iniziative che diano carattere permanente agli incentivi agli investimenti delle imprese.
(Lorenzo Torrisi)
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