Secondo le stime della Commissione europea, il calo del Pil in Italia nel 2020, -11,2%, sarà il peggiore in Europa; doppio rispetto a quello tedesco e superiore anche a quello della Grecia. Nel 2021 Il “recupero del Pil” sarà inferiore a quello francese, spagnolo e appena in linea con la media europea. C’è un secondo numero, ignorato dalla stampa, la revisione della stima del Pil italiano del 2021, rispetto alle previsioni di questa primavera, è peggiorativa. Invece le stime del Pil di Francia e Spagna sono state riviste al rialzo per il 2021. È un quadro davvero drammatico che non ha nulla a che vedere con le previsioni completamente sballate di “qualche punto percentuale” di calo prospettata da Gualtieri già nel pieno dell’emergenza sanitaria.
Il lockdown italiano è stato il più lungo e il più profondo in Europa. Lo dicono in modo inequivocabile tantissimi dati, dai consumi elettrici alla produzione industriale, passando per il numero di giorni di scuole chiuse. Dati che dimostrano come l’Italia non sia riuscita a “convivere” con il virus in nessun modo con morti per “milione di persone” comunque peggiori di molti Paesi che invece con il virus hanno convissuto tenendo aperte più fabbriche e riaprendo le scuole prima di noi. Nel 2020 e nel 2021 “conteranno” anche gli aiuti a fondo perduto alle imprese su cui purtroppo non abbiamo molto da dire rispetto agli altri Stati europei.
Il calo del Pil non si è ancora tradotto in emergenza sociale grazie ai risparmi degli italiani, a una rete di solidarietà e a un settore pubblico che ha continuato a macinare deficit come se non fosse accaduto nulla. Ieri Banca d’Italia, però, pubblicava dati preoccupanti sulla situazione delle famiglie italiane: “La quota di popolazione che non ha sufficienti risorse finanziarie liquide per poter restare alla soglia di povertà per 3 mesi in assenza di altre entrate raggiunge il 55%”; “quasi il 40% degli individui indebitati dichiara di avere difficoltà nel sostenere le rate del mutuo a causa della crisi”.
Significa che, purtroppo, non abbiamo ancora visto nulla di quello che ci sarà. Interi settori, il turismo, sono stati spazzati via. Per migliaia di lavoratori si pone il problema di riqualificarsi. Una sfida che non può essere affrontata con infornate di assunzioni pubbliche o con immaginifiche e costosissime “rivoluzioni verdi”.
Ieri, dopo la pubblicazione dei dati, campeggiavano le notizie sulle decine di infrastrutture che partiranno a breve. La principale società di costruzione italiana, tra l’altro partecipata dallo Stato via Cdp, ieri “festeggiava” con un anemico +0,7%. Il mercato non crede agli ultimi annunci e fa bene. L’unica cosa che avrebbe potuto far accelerare qualche grande opera in tempi brevi e con impatti veri nei prossimi trimestri è il “modello Genova”. Tutto il resto nella migliore delle ipotesi taglia una burocrazia lunghissima lasciandola comunque lunga e senza effetti nel breve-medio periodo. Se il Governo italiano avesse scelto sei grandi opere, due per il nord, due per il centro e due per il sud e avesse nominato sei commissari avrebbe raggiunto un risultato “di Pil” e contratti molto migliore. Rompere il tabù sui controlli ex ante e definire le responsabilità in modo chiaro senza le enormi zone grigie attuali che lasciano tutti colpevoli fino a prova contraria non è evidentemente possibile.
La domanda che ci poniamo è come si possa pensare di affrontare il dramma che si paleserà a settembre con un Governo di terze linee in cui si litiga su tutto e che partorisce il disastro visto in Liguria in questi giorni per l’incapacità di risolvere il nodo autostrade.