La Commissione europea ha rivisto al rialzo le stime di crescita per l’area euro. Nell’autunno dell’anno scorso la Commissione si aspettava un incremento del Pil 2023 nell’area euro dello 0,3%, mentre le nuove stime includono una crescita sensibilmente più alta e pari all’1,1%. Anche le stime sul Pil italiano sono state riviste al rialzo, passando dallo 0,3% di questo autunno all’1,2%. È la conferma che l’espansione dell’economia sta durando più a lungo di quanto si immaginasse; sono in particolare i servizi a sorprendere. L’eccesso di risparmi che si è generato nel 2020 e nel 2021 continua a sostenere i consumi e il deficit dei governi per tutto il 2022 e per il 2023, anche se in misura minore, rimane sensibilmente più alto di quanto visto fino al 2019. L’Italia da un lato sconta una delle performance economiche peggiori d’Europa nel 2020 e dall’altro un contributo significativo degli investimenti soprattutto, finora, per l’effetto del bonus 110%.
Le nuove stime sull’Italia evidenziano almeno altre due novità significative. La prima è la revisione sul deficit 2022 (“Structural budget balance”) che questo autunno era previsto al 6,0% e da ieri all’8,6%; e la seconda è la revisione al ribasso, contrariamente a molte altre economie, dell’inflazione. Sono due dati da tenere a mente per comprendere quale siano i rischi specifici italiani all’interno del contesto europeo.
Alla voce “rischi” per l’eurozona il report della Commissione mette al primo posto l’inflazione; “una persistenza dell’inflazione più alta delle attese porterebbe a una reazione più forte della politica monetaria”. Più l’inflazione fatica a scendere, più la Bce e le banche centrali in generale dovranno posticipare l’inizio dei tagli. Questo, scrive sempre la Commissione, condurrebbe a condizioni finanziarie peggiori con effetti particolarmente negativi su alcuni settori come l’immobiliare. La Commissione non si può esimere dallo scrivere che “i rischi di frammentazione nell’area attraverso il mercato dei debiti pubblici potrebbero aumentare” in questa fragile congiuntura di tassi di interesse più alti. Tra gli altri rischi citati, le negoziazioni sul tetto del debito americano e la frammentazione dei commerci globali in seguito alle crescenti tensioni geopolitiche. Ciò che conta ai fini europei è il “rischio di frammentazione”, tanto più se uno dei motori della crescita è la politica fiscale. I governi che riescono a crescere contenendo il deficit, o, più probabilmente, a fare deficit mantenendo l’appetibilità del proprio debito avranno meno problemi a gestire le conseguenze sociali di una politica fiscale più accorta.
L’Italia in questo contesto ha due caratteristiche peculiari. La prima è che dovrà far scendere il deficit, dopo i fasti del 2022, più delle altre economie; e la seconda è che ha un mercato del lavoro meno in salute, come si evince dall’andamento dei salari. Significa che l’uscita dalle politiche fiscali del 2021-2022 avrà un impatto maggiore che per le altre economie europee proprio in una fase in cui, a causa dei tassi alti, aumentano i rischi di frammentazione dentro l’area euro. È una fase in cui oltre ai soldi servono tante buone idee per tenere in pista l’economia italiana alle prese, ancora oggi, con prezzi dell’elettricità più che doppi rispetto a due anni fa nonostante un inverno particolarmente mite.
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